Ecco dunque un piccolo resoconto di questo Torino Film Festival numero 35.
Prima di tutto alcuni numeri:
4 notti, 12 film, 2 film di zombie, 3 film italiani.
Regola:
Se c’è una regola quando vengo a Torino è che sotto i tre film al giorno è una sconfitta. Siamo stati nella media, seppur molto al di sotto dei ritmi dell’anno passato quando avevamo picchiato duro (con conseguente svarione perenne e bolla temporale e fusione dei film in un’unica pellicola dadaista). Detto questo anche quest’anno siamo riusciti nell’impresa di uscire dal normale scorrere del tempo, ed essere felici.
Costellazioni:
Altra novità di quest’anno: una casa tra i due cinema, stella polare e croce del sud, dove abbiamo a volte pranzato o cenato, sacrificando incursioni troppo serrate nel cosmo del cibo spazzatura. Morale: si cresce.
Classifica:
3. Les affamés, di Robin Aubert, Canada 2017
Zombie from Canada, boschi, barzellette, low-fi, Michelangelo Antonioni. Scene nella semi oscurità o completa, riuscitissime.
2. Most beautifull Island, di Ana Asensio, Usa 2017
New York oggi, scarafaggi, affitti da pagare, bambini viziati da riprendere a scuola. Poi a un certo punto irrompe Eyes Wide Shut.
1. 2557, di Roderick Warich, Germania/Thailandia 2017.
Apparentemente un thriller, secondo le parole del regista una riflessione sulla morte. La classe aspirazione va in Thailandia a cercare la felicità, l’amore o forse la fine. Ricorda come temi il romanzo di Osborne, Cacciatori nel buio. Opera prima, rischio pisolo, secondo Diana troppo saturo, e ha ragione, ma non cambia il mio giudizio. Che si arricchisce di una considerazione ulteriore: sul regista e sul film su internet non si trova niente. Niente.
Miglior italiano
Riccardo va all’inferno, di Roberta Torre, Italia 2017.
Non sembra un film italiano, il che di questi tempi è un bene.
Menzione speciale
En attendant les barbares, di Eugene Green, Francia 2017
Politico, chiaro, condivisibile, bello. Ah, poetico.
Ci vediamo l’anno prossimo.
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