di Elisabetta Meccariello
Dove finiscono tutti quelli a cui dicono Hai del talento, farai qualcosa d’importante. Mi hai emozionato.
Il giorno in cui tutto le crollò addosso l’aria sembrava seta. In realtà non era affatto seta, si trattava di un 45% viscosa, 20% cotone, 16% nylon, 19% elastam. Almeno quello diceva l’etichetta.
– E cosa sarebbe l’elastam?
– Una roba sintetica, si usa per elasticizzare i tessuti.
– E da quando saresti un’esperta di fibre sintetiche.
– Basta leggere.
– Secondo me te lo sei inventato.
– Guarda su internet se non ci credi.
(pausa)
– E ricordati di sorridere ogni tanto.
– Le apparenze prima di tutto?
– Le apparenze prima di tutto.
Indossare il vestito della domenica e annegare nell’autocontrollo. Questa era diventata la sua vita. Erano passati secoli da quando le dicevano Hai del talento, farai qualcosa d’importante. Mi hai emozionato. E ormai quando sorrideva non le credeva più nessuno. C’era questo movimento dei muscoli facciali, intorno alla bocca, gli angoli si sollevavano, automaticamente, e per un attimo traevano in inganno, poi guardando meglio il resto della faccia era immobile. A pensarci bene anche quello era un talento ma faceva una certa impressione. (Qualche volta di notte mi appariva in sogno sorridendo in quel modo e io mi svegliavo tremando e tenevo la luce accesa per almeno due ore).
– Devi sforzarti di più, sei troppo innaturale.
– Me lo stai chiedendo sul serio?
– Te lo sto chiedendo sul serio.
– Faccio del mio meglio.
– Se questo è il tuo meglio.
– Dici che non so nemmeno sorridere?
– Dico che ad un certo punto della vita devi rassegnarti a non essere abbastanza.
Mi capita di osservarli dalla mia finestra. Lei. Lui. Lunghi silenzi. Il volume della televisione sempre educato e rispettoso, mai un programma interessante tra l’altro. Una volta mi è sembrato stessero litigando o forse era la nuova fiction della rai. Mai nessuno che giri in casa nudo, non perché voglia guardare no, ma almeno avrei l’impressione che qualcosa stia accadendo, che ci sia del movimento, una variazione sul tema dell’intimità domestica. Sempre gli stessi orari poi, la mattina, la sera, il fine settimana, le festività, mai una novità, un imprevisto, un banale contrattempo. Lei. Lui. Le mutande tutte rigorosamente nere, stese sul filo del balcone, tutte rigorosamente distanziate.
– Una volta ero qualcuno sai, sarei potuta diventare importante.
– Dici?
A ogni respiro le fibre sintetiche si aggrappavano ai peli del naso e scavavano facendosi strada fino alla faringe e poi più giù fino alla trachea e poi ancora più giù. Respiri profondi. A fine giornata avevano avviluppato i polmoni. Respiri profondissimi.
– Me lo dicevano sai, mi dicevano proprio è il tuo momento, è quello che hai sempre voluto, è quello per cui hai sempre lavorato, è quello per cui sei stata concepita.
– Addirittura.
– Addirittura.
Poi la matassa informe si era moltiplicata, rintanandosi negli antri più nascosti. 45% viscosa, 20% cotone, 16% nylon, 19% elastam. Una trama resistente e allo stesso tempo elastica, liscia da sembrare innocua ma dirompente e invasiva. Quando tutto le crollò addosso ogni centimetro del suo corpo era già compromesso.
– Prova a sorridere davanti allo specchio, vedrai che ho ragione.
– Ma a cosa serve.
Eppure dev’esserci un posto in cui finiscono tutti quelli a cui dicono Hai del talento, farai qualcosa d’importante. Mi hai emozionato. Eppure.
Al Sert