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In fuga dalla bocciofila

Blog dal titolo fuorviante in cui si parla di cinema tra una divagazione e l'altra

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Tokyo Godfather | Brucia l’untore

26 Dicembre 2018 di Salvatore Cherchi

La notte in cui è bruciato vivo abbiamo pianto tutti, finti come il paesaggio di un presepe. Prima mettevamo a fuoco la sua esistenza solo per sbaglio, per quanto si trascinasse lungo i nostri marciapiedi da chissà quanto. Ora spegniamo le luci degli alberi e vestiamo il Natale a lutto, nero come il suo corpo carbonizzato.

Si è spento nel sonno, ha detto uno dei pompieri alla tv locale.

Quell’ironia, invece che sfumare come una gaffe fatta davanti alla carcassa dell’auto fumante lasciata volutamente alle spalle dell’intervistato, è divampata contagiando le opinioni di chiunque sia stato chiamato a esprimerne una. Persone che a stento lo consideravano un loro simile, riempivano di ricordi le colonne della stampa locale, sfoggiando un campionario di luoghi comuni tirati a lucido per l’occasione: uno spirito gioviale e giocoso, esordiva un venditore di giocattoli; una persona dolce e piena di bontà, continuava un pasticciere; sarà per tutti un Natale meno luminoso, ribatteva il proprietario di una ex-gioielleria convertita in Compro Oro; il signore lo accoglierà con un caloroso abbraccio, commentava serafico il parroco; ci dimentichiamo troppo spesso degli ultimi, ribadivano alcuni ciclisti di passaggio nella zona dell’incendio; sono notizie che non vogliamo leggere, concludeva un libraio cittadino.

A sminuire il senso della sua morte poi, un colpo di sonno con la sigaretta in bocca quale causa del principio d’incendio. Certo, l’idea della disgrazia ha alleggerito la coscienza di tutti: le miserie degli ultimi vanno presto risolte e dimenticate, per godersi le festività senza sensi di colpa per un disgraziato che arrostisce avvolto dalle fiamme dentro la sua auto.

Non posso negare quanto in fondo mi dispiaccia che tutto si stato archiviato così… sbrigativamente, senza rendere merito né a me, né a lui.

Ma in fondo chi lo piangerà?

Il lezzo che accompagnava la sua presenza, nei weekend di dicembre colorati a festa, ci ripugnava. Il suo vino scadente stonava con l’infiocchettata coreografia urbana che ci affannavamo a mantenere decorosa; e la merda fumante che i cagnolini impellicciati sganciavano dal culo puzzava meno dei suoi vestiti logori, quando si attaccava alle nostre belle scarpe in cuoio.

Il ricordo brucerà più velocemente del corpo, e la mia azione sarà polvere nel vento.

Forse qualche cronista sfrutterà l’occasione per scrivere un reportage sulla situazione dei clochard nella gelida notte di Capodanno, ma ad animare le nostre discussioni, a infiammare i nostri animi, ci sarà altro: le somme tirate a fine anno e i propositi buoni per il prossimo. Un barbone disgraziatamente morto nel sonno non occuperà il primo posto nella classifica dei nostri peccati.

Sì, peccati. Di questo si tratta e per questo sono… anzi, siamo qui. È stato un gioco, utile a esorcizzare le nostre cattive condotte.

Come può un fratello privato della sua dignità sociale, esserci utile? Il fardello della sua esistenza fisica che trascina lungo le strade, ci ricorda come la miseria convive a pochi passi dalla nostra fortuita e benestante condizione, ma solo porgendo la sua carne alla feroce mano del castigo possiamo liberarci di tutto questo.

Cosa ho fatto io di diverso da quanto già non avete fatto voi, se non agire nella sostanza anziché nella forma?

Io e lui ci siamo fatti carico della responsabilità morale di questo male che ci avvelena.

E quando il suo corpo, divorato dalle fiamme dell’inferno da me richiamate, ha lottato invano per fuggire al castigo, ho finalmente liberato la bestia che ci portiamo dentro, lasciandola fluire via, per tutti noi, sotto lo sguardo impietoso di chi non cerca il Bene come fine ultimo, ma il Giusto.

Dovreste ringraziarmi, invece di condannarmi.

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Postato in: Anatomia di un fotogramma, Lo sfogone Tag: anime, clochard, fuoco, Natale, Satoshi Kon, Tokio Godfather Fai un commento

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