Nel grande ammasso di ore trascorse a guardare un punto del cielo in cui speravo di cogliere un grumo di materia o un segno, oppure quando ascoltavo i rumori rincorrersi, ho sempre tentato di rintracciare una certa trama all’interno dei miei movimenti; spesso ho faticato per ricostruire le scene; immagini che chiamo faticose, perché a volte sbiadite, a volte dolorose, il più delle volte indefinite, e il risultato, purtroppo, non ha quasi mai portato a gran che, nonostante lo sforzo fosse grande. Ho cercato conforto in qualcosa fuori dalla mia portata, perché la mia memoria non è così tenace come lo è la mia volontà.
Eppure nel vedere lo sguardo di un uomo, un uomo la cui memoria lo salva dall’essere fagocitato dal mondo, che trova la quiete all’interno di un ricordo, mi sono commosso. Mi è capitato di assistere a una cosa simile: qualcuno che, ricordando con precisione, riesce a interrompere il rimestare del dramma. Ma quello era un pazzo.
Mi pare di aver capito che sono i pazzi quelli che più di tutti vivono nel passato, e che un ricordo è l’ultima cosa che gli resta. Non gli resta molto di più, e allora li si può vedere mentre camminano – nel presente sono invece persi – e mentre camminano fissano il vuoto per ricostruire una scena in cui dipingono di verde la porta d’ingresso della casa che hanno abitato dai dieci ai sedici anni, e accanto alla porta appoggiano un vaso con un’ortensia e sentono il rumore di un’auto passargli accanto, si stringono il dito che sanguina, e così via, fino ad ottenere finalmente quell’esatto ricordo in cui riposarsi, e con cui tirare avanti fino alla fine, nonostante tutte le botte che hanno preso, ogni giorno, da quando sono nati, fino a quando creperanno. Ne hanno prese per tutta una vita e hanno lo sguardo che ha un cane che si acquatta quando qualcuno alza la mano, in alto sopra la testa. E anche se quel cane a volte mostra i denti, ha lo stesso paura.
Ma nel ricordo nessuno può venire a frugare le tasche del pazzo, oppure a riempirlo di botte. Lì il pazzo è salvo e non deve far altro che infilare una perla dopo l’altra per avere una collana luccicante da regalare alla morte quando arriverà a prenderselo.
E io ci provo a riprodurre quel preciso momento, quello o quell’altro, ma ogni volta lo riadatto a ciò che sono diventato, alla situazione in cui mi trovo, al mio interlocutore, alla sua aspettativa, e non voglio rovinare niente, ancora mi faccio scrupoli e non abbandono il presente. Mi ha salvato avere una pessima memoria, mi dico, a quanto pare mi ha salvato una buona immaginazione mi ripeto. Ma in fondo non sono poi così sicuro che mi abbiano davvero salvato.
P.s. qui potete trovare il documentario in inglese/francese sottotitolato in olandese: https://www.npostart.nl/2doc/01-08-2017/VPWON_1246749
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