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In fuga dalla bocciofila

Blog dal titolo fuorviante in cui si parla di cinema tra una divagazione e l'altra

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The tribe | Metaforoni

3 Aprile 2017 di simone lisi

Se fossi sordo e muto il mio vicino di casa campione mondiale di beach-tennis non rappresenterebbe un problema. Altre questioni rappresenterebbero un problema. L’adolescenza rappresenterebbe un problema, ma in effetti quella ha rappresentato un problema lo stesso. Per qualcuno l’adolescenza non è finita mai, come ad esempio per il mio vicino di casa. È proprio vicino vicino, nel senso che io sento tutto.
Io lo conosco meglio di quanto lui si conosca.
Parlo di lui con tutti, è il mio principale argomento di conversazione con le persone. Se fossi sordo muto non direi nulla e il mio vicino non rappresenterebbe un problema. Potrei anche dividere la mia stanza rumorosa, la potrei far diventare una doppia o una tripla, tanto i rumori non rappresenterebbero più nessun tipo di problema.

In Ucraina. Se fossi stato adolescente in Ucraina non sarei mai sopravvissuto. Qua sono sopravvissuto, là no. Sarà il color Ucraina, quel bianco grigio giallino che hanno i vestiti e i muri e la neve, là in Ucraina, le camicie non eleganti che indossano, i muri dei giardini dove gli adolescenti vanno a fare a cazzotti, il colore che c’è dentro ai treni, sarebbe forse stato il color Ucraina, a uccidermi. Forse.
Forse il giorno in cui il bullo della scuola mi voleva uccidere, nella mia scuola media Italo Calvino, fossimo stati in Ucraina, non sarebbe bastata l’intercessione di Gaia Braschi a salvarmi dal penzolare. Dal salvarmi la vita. Grazie Gaia, ti ringrazio oggi dopo anni, qui in un post anonimo che non leggerai, e che forse io nemmeno pubblicherò. Perché altri compagni più scaltri già si sono accaparrati il capolavorino The Tribe.

A volte mi chiedo come sarebbero quegli infiniti universi paralleli in cui tutto è identico solo una sola singola cosa non si chiamerebbe come si chiama, ma con una sillaba in più o in meno. Le parole del mio vicino. Le canzoni che canta il mio vicino, io so tutto di lui. So i suoi orari, so che programmi televisivi guarda, conosco le sue abitudini alimentari e intestinali, igieniche, sessuali. Ama il canto, ama se stesso, e tra poco ci perderemo.

Perché alla fine questa benedetta casa io la lascerò, dovevamo stare due mesi, sono due anni. Ecco. Se fossi stato sordo muto in Ungheria, avrei forse scelto di lavorare con il martello pneumatico. Condividere la stanza con altre persone, per la compagnia. Ho imparato che se si è sordo muti non ci si accorge che un altro sordo muto ci sta inseguendo per ucciderci, conviene stare parecchio attenti.
Vicino di casa, se leggi questo testo, visto che non senti quando ti urlo di abbassare il volume, questo è un messaggio non metaforico, rivolto proprio a te. Poiché d’estate le finestre di carta di riso che ci dividono sono aperte, poiché al trasloco ancora mancano quattro mesi, ti chiedo di pensare all’Ucraina, al color Ucraina, e fare piano.

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Postato in: La scena tagliata Fai un commento

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