Un giorno un mio amico si è cancellato da Facebook. Forse cancellare non è il termine corretto ma è quello che meglio rappresenta, nel mio rurale italiano dialettale, l’azione che annulla quella precedente. Il passaggio di un cancellino su una lavagna che scrive di te. Cancellino che nel mio rurale italiano dialettale si chiama cimosa, una di quelle parole che se ripetuta tante volte ti impiastra la bocca e rende il suono colloso e magmatico.
A me la parola cimosa, più che un cancellino, ricorda il muco di mare, una sorta di blob gelatinoso che mi capitava di trovare sulla battigia, da bambino. Da grande non lo trovo più. È sparito con la mia infanzia, insieme alla mamma del sole, su cui qualcuno ha scritto un romanzo che ho letto con curiosità, sperando mi spiegasse perché una palla di fuoco così grande avesse tante mamme così piccole. Niente, il mistero è rimasto, insieme al muco di mare e alla parola cimosa. Sono cose che fanno parte di te e di rado ti chiedi perché. Tipo perché mi sono iscritto su Facebook. Tipo perché quel mio amico si è cancellato. Io l’ho fatto per stare in contatto con gli amici lontani, dicevo. Poi per avere un comodo feed delle notizie, aggiungevo. Ora so che ci sono e basta, e scorro la Timeline con naturalità di gesto pari all’accensione di una sigaretta dopo il caffè, senza particolari scuse. È una sorta di ritrovo col mondo, un piccolo grande bar. Non mi preoccupo delle derive, se avrebbe senso rifletterci, se sia giusto e possibile andarsene. Quel mio amico ha solo detto: «basta, mi annoia. Lascio», ha passato la cimosa e nessun tipo dalle fattezze di Tom Hanks vestito come Steve Jobs gli ha chiesto perché dalla poltrona di un accogliente salotto. Il suo profilo è stato lì ad aspettarlo per un po’, come un cane abbandonato in strada che scodinzola ogni macchina che passa. Magari ci ripensa. Non l’ha fatto. È libero.
Un altro mio amico invece ci ha detto il perché in un lungo post, poi si è cancellato. Del resto è buona educazione salutare quando si va via. Anche lui non è stato richiamato da Steve Hanks, ma io ho subito pensato a una sorta di Leviatano digitale che lo perseguita nella vita di tutti i giorni, affinché torni nel recinto. Le sue azioni monitorate da droni e sguardi indiscreti, nascosti nel muco di mare e nel ventre della mamma del sole. E trasmesse dall’altre parte del mondo – e dall’altra parte dello schermo –, in una sala più chiassosa sudata ed eccitata di qualsiasi assemblea d’istituto pre-vacanze, dove giovani brillanti ne studiano le gesta divertiti e compiaciuti.
Sbadiglio. Penso che basterebbe alzare la mano, prendere parola. Dire con fare spavaldo: “Just Circle”, e con le dita della mano mimare il gesto dell’Ok. Perfetto. Liscio. Pulito. Un’uscita di scena alla Sean Parker in The Social Network e via, ci troveremmo tutti di colpo in un altro film.

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