Di Giulia Sabella
Non è vero che un figlio ti cambia la vita. È una leggenda metropolitana, una di quelle frasi che la gente ripete alzando il mento, con lo sguardo di chi la sa lunga. Questa regola varrà anche per qualcuno, ma sicuramente non per me. Quello che serve per portare avanti le più semplici attività quotidiane è un po’ di inventiva come, ad esempio, approfittare dei momenti di allattamento per guardarsi un film.
Ore 9h47
New York, 1968. Vinili, giacche di pelle, Ray Ban, vestiti colorati e camicie improbabili: praticamente San Frediano. Claudio è attaccato alla tetta sinistra e guarda fuori dalla finestra. Michael, il protagonista, è al telefono quando gli si rompe il sacco del ghiaccio che ha appena comprato. Non ho mai visto nessuno comprare un sacco del ghiaccio. Forse è una moda newyorkese? Decido di indagare. Metto in pausa il film, con la mano libera prendo il cellulare e scopro che con 16 euro posso comprare due sacchi del ghiaccio da dieci chili ciascuno, e me li mandano anche a casa senza spese di spedizione. È tanto? È poco? Non ne ho idea. Nel frattempo Claudio si è addormentato. Lo stacco dal seno, lo metto nella sua carrozzina e vado a svuotare la lavastoviglie.
Ore 12h20
Rimando in play. Michael sta organizzando una festa di compleanno a casa sua. Claudio è attaccato al seno destro. Lo schifo malcelato nei suoi occhi mi ricorda che quella non è la sua tetta preferita però, ehi, non possiamo avere tutto dalla vita. Vabbè che hai solo sei settimane, ma non è mai troppo presto per imparare questa lezione.
Ore 14h00
Claudio piange e si mette le manine in bocca. Eppure ha mangiato meno di due ore fa. Forse è la tetta destra che aveva meno latte della sinistra? Scusa Claudio se la mamma non è riuscita a capire il motivo del tuo disgusto. Oppure è uno scatto di crescita? Comunque sia, mi rimetto in poltrona, lo riattacco al seno e riprendo il film da dove lo avevo interrotto.
“Hai smesso di bere?”
“E di fumare”
“Da quanto?”
“Cinque settimane”.
Finalmente qualcuno che capisce come mi sento.
Il film “The Boys in the Band” è uno dei numerosi adattamenti dell’omonima pièce teatrale del 1968, una delle prime a trattare il tema dell’omosessualità (fonte: Wikipedia). Gongolo tra me e me all’idea di star facendo assorbire a mio figlio qualcosa di culturalmente impegnato. Lui per tutta risposta si rannicchia su se stesso come un putto e tira una scoreggia che già lascia presagire che cosa troverò nel pannolino. Rimetto in pausa e lo vado a cambiare.
Ore 17h13
Claudio mi si addormenta addosso mentre sta poppando. Mi chiedo se questo sia educativamente corretto. Ho letto abbastanza per sapere che le opinioni a riguardo sono contrastanti: ci solo quelli che dicono che i bambini dovrebbero stare attaccati alla mamma il più possibile, in modo da acquisire sicurezza in se stessi e diventare degli adulti indipendenti ed equilibrati; ce ne sono altri che affermano che i neonati dovrebbero subito imparare a dormire da soli, in modo da acquisire sicurezza in se stessi e diventare degli adulti indipendenti ed equilibrati; non mancano neanche quelli che dicono che non importa dove dorma il bambino, l’importante è che si svegli nello stesso posto dove si è addormentato per evitare che si disorienti e diventi un adulto indipendente ed equilibrato.
Consapevole che qualunque decisione io prenda mi sarà comunque rinfacciata tra 14 anni, decido di tenerlo addosso a me e continuo a vedere il film. Adesso a casa di Michael sono arrivati tutti gli invitati, compresi l’amico eterosessuale (che si è imbucato) e un gigolò (che è un regalo di compleanno). Manca solo Harold, il festeggiato. Mi addormento e quando mi sveglio scopro che c’è stata una scazzottata e che Harold è finalmente arrivato. Scopro anche che io e Harold abbiamo gli stessi occhiali. Penso di mandare indietro e guardare il pezzo che mi sono persa ma Claudio si sveglia e ci alziamo.
Ore 20h51
Michael ha ricominciato a bere e fumare: da un lato sono delusa ma dall’altro lo capisco perché, nel profondo, so che anche io finirò così. Vorrei solo andare a letto ma Claudio non accenna a staccarsi. Mi chiedo se quella di allattare a richiesta sia poi questa grande idea. Guardo gli ospiti della festa che chiamano al telefono le loro vecchie fiamme e rimango ammirata dalla loro capacità di ricordare i numeri a memoria. Io so solo il mio e quello di mia madre. Quello di mio marito è una specie di sciarada: ricordo le cifre ma non il loro ordine.
Ore 1h27
Claudio urla e io sono troppo stanca per alzarmi. Lo tiro fuori dalla culla e lo metto a letto con me, attaccandolo al seno. Intanto prendo il cellulare, infilo le cuffie e metto in play ma non riesco a seguire niente di quello che vedo.
Ore 3h42
Ho bisogno di dormire.
Ore 6h39
Mi alzo dal letto e mi trascino in salotto, verso la poltrona, portando come me un Claudio urlante. Mi siedo e ripenso a tutte quelle volte che avrei potuto dormire e non l’ho fatto. A quando perdevo tempo, rannicchiata sotto le coperte, con il telefono davanti agli occhi, incollata su Facebook; a quando uscivo con gli amici e rimanevo con il bicchiere in mano ad ascoltare conversazioni delle quali non mi importava assolutamente niente, aspettando che qualcuno levasse le tende prima di me.
“I primi due mesi sono i più duri – mi scrive un’amica – poi vedrai che il sonno si assesta”. Ma il problema non è il sonno di Claudio: il problema è il mio. Adesso ci sono le poppate ma domani ci saranno i denti che spuntano, e poi i mostri sotto il letto, i voti a scuola, i litigi con i compagni di classe, e la mia ansia di fronte al suo mutismo adolescenziale, le notti passate sdraiata a osservare il soffitto in attesa che lui rientri a casa, e la consapevolezza di non potergli risparmiare niente di quello che deve accadere, e il timore di non aver fatto abbastanza per prepararlo. Allattamento a richiesta o no, non dormirò mai più come prima.
Intanto sullo schermo del computer una figura avvolta in un trench si allontana su una strada illuminata dalla luce dei lampioni. Partono i titoli di coda. Claudio se ne frega sia del mio sonno che del film. Decido di continuare sulla scia delle pellicole educative e culturalmente impegnate. Sfoglio il catalogo di Netflix e scelgo “Mad Max: Fury Road”. L’ho visto tre volte, per Claudio è la prima: sono certa che apprezzerà.
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