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The Bear | Reperto B

7 Novembre 2022 di Leonardo Biancanelli

 

 

 

Il 19 gennaio del 2000, pochi giorni dopo il Millenium bug, nell’auto di mio padre è stato rinvenuto un secondo reperto (denominato dalla polizia Reperto B): si trattava di una pagina di una lettera che avrei dovuto ricevere io e a cui ho avuto accesso soltanto quindici anni più tardi, quando ne avevo diciassette e il caso fu archiviato per mancanza di prove. 

[…] c’è stato un periodo in cui li sognavo. Li sognavo di molti colori, primari, secondari, terziari, colori spenti e slavati, carta da zucchero, acqua marina, porpora, terra di Siena, li sognavo giallastri come gli occhi dei gatti. Li ho sognati di tutte le forme, oblunghi, con fori nel centro, con i bordi dentati come un francobollo. Li ho sognati di plastica, di carta, di ferro, con pietre preziose, di carta stagnola, d’argento, d’oro. 

Quando si devono dei soldi, soprattutto se tanti, si inizia a sognarli e a sentirseli addosso, a mettere le mani in tasca e a sussultare quando si tocca qualcosa che gli somiglia anche vagamente: un vecchio scontrino, la lista della spesa, per esempio. 

Una volta ne ritrovai in una tasca di una vecchia giacca. Quell’imprevisto mi risollevò il morale per tutta la giornata e andai a letto felice, una cosa che non mi capitava da anni. 

C’è un momento preciso in cui i soldi si impossessarono del mio umore e della mia mente: in questo ricordo c’era mia madre, tua nonna, che affettava le cipolle in cucina con me – avevo qualcosa come dieci anni, forse undici. Non gliene faccio certo una colpa, di avermi messo quel tarlo nella testa, ma mentre affettava le cipolle, se ne uscì con una domanda che più che altro voleva essere una minaccia: mi domandò se mi fossi lavato bene le mani. Io le risposi che non le avevo lavate e allora mi disse che mi sarei sempre dovuto lavare bene le mani dopo averli toccati, i soldi, sempre. E poi mi domandò, lo sai che cosa è la cosa più sporca del mondo?, e si aspettava che io dicessi qualcosa come la merda – difficilmente avrei detto «la merda» a mia madre a undici anni, avrei detto la cacca, oppure in un momento particolarmente ispirato mi sarei strizzato le meningi e avrei pensato a come la maestra di italiano aveva detto di chiamare la merda quando frequentavo le scuole elementari, le feci, che cosa? avevo risposto, lei si era messa a ridere, no, no, le feci, è così che si dice in modo educato – comunque ci pensai e non mi spostai tanto distante dalla merda, perché le dissi «un bagno pubblico», un wc pubblico, e lei mi guardò, e per qualche secondo non disse nulla, perché forse non se lo aspettava; un bagno pubblico è effettivamente una delle cose più sporche in assoluto al mondo, forse più di un cassonetto, insomma ci sono una grande quantità di cose molto sporche al mondo, ma quella volta tua nonna voleva insegnarmi qualcosa anche contro l’esattezza scientifica, voleva impartirmi una lezione diversa, e mi disse, «no, non un bagno pubblico… i soldi», disse «non c’è niente di più sporco dei soldi». 

Ricordo che mi parve strano, lì per lì, perché pensai che le persone tentavano in tutti i modi di nascondere la sporcizia, ma soprattutto di liberarsene, come fosse un cancro, e di estirparla dalle proprie vite, e addirittura desideravano che non si vedesse neanche mentre scivolava via, nelle fogne ad esempio, che stavano a decine di metri sotto terra nel buio e nel silenzio, e tutti si impegnavano a scacciare lo sporco il più lontano possibile dai loro occhi, nasi, orecchie e bocche; mentre i soldi, che erano a detta di mia madre la cosa più sporca del mondo, insomma tutti ne volevano sempre di più, più degli altri, anzi, tutti volevano proprio quelli degli altri e se avessero potuto li avrebbero tenuti tutti addosso, tutti quelli che avevano; è come dire che io avrei dovuto avere per me tutta la merda dei miei vicini, una torre gigantesca fatta di merda che strabordava sui minuscoli igloo delle famigliole che abitavano tutte intorno alla mia maestosa reggia suppurante di feci. Non ci potevo credere. 

Invece mi accorsi che aveva le sue ragioni quando, poco prima del fallimento, non ero in grado neanche di guardare un film accanto a tua madre senza vedere i soldi: osservavo la televisione e mi chiedevo quanto potesse valere, quanti soldi mi avrebbero dato se l’avessi venduta, lo stesso per i miei vestiti, per il divano su cui eravamo seduti. Erano in ogni cosa, nei «grazie» delle persone mentre mi spostavo sull’autobus per farle scendere, nelle parole di cortesia del fruttivendolo mentre mi vendeva le arance di stagione, le arance che mi servivano per non prendermi il raffreddore, pensavo, mentre a quello non fregava nulla se fossi sano o no, gli bastava che comprassi le arance.

Alla fine tua nonna non era stata precisa: i soldi non sono veramente la cosa più sporca del mondo, ma dal momento che possono stare su tutto e prendersi tutto, semplicemente lo sembrano, e a forza di assomigliare a qualcosa, si sa […]

 

Il testo della lettera è mutilo, il margine inferiore lacerato e mancano, in testa, almeno destinatario e data; così ho sempre pensato che la lettera intera fosse composta da più pagine andate disperse e che nelle altre pagine ci fosse tutto il resto, o almeno quello che avrebbe voluto dirmi prima di non averne più la possibilità. L’ironia tragica di questo Reperto B, come lo hanno chiamato alla polizia, è che illumina di senso il Reperto A: una banconota da dieci, su cui si leggono quattro stringhe di quattro cifre ciscuna e poi NASA, Y2K.

Aveva scommesso sulla fine del mondo, ma il mondo non era finito.

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Postato in: La scena tagliata, La sindrome del personaggio secondario Tag: Bigliettoni, Carmen Berzatto, Debiti, famiglia, lettera, Millennium Bug, The Bear Fai un commento

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