Alla memoria di V. D.
Wallace ci ha scritto un racconto molto famoso su quanto sia difficile tuffarsi. Va bene, andiamo avanti, chi se ne frega di Wallace.
Stanotte ho sognato che correvo lungo una strada buia e vuota, priva di scappatoie, percorsa da violente automobili in cerca di sangue, guidate da stupratori che si divertivano a soffocarti schiaciandoti con tutto il loro peso meccanico il torace, in terribili, opache luci al neon, ed io che correvo e mi acquattavo a terra quando sentivo rumori che sarebbero potuti essere loro, gli assassini, tanto anarchici quanto casuali sulle loro vetture, nell’ocurità, solo uno su mille ce la fa, mi diceva questa voce narrante femminile, come se mi stesse dando un consiglio, come se mi supplicasse di non partecipare a questa folle competizione notturna anche se ormai era troppo tardi ed io correvo lungo una strettoia e cercavo di raggiungere un guardrail dietro a cui mi sarei potuto tuffare e, rannicchiandomi in quello sporco, oscuro buco, scavare una piccola tana con le mani, mentre da lontano sentivo incombere la presenza degli assassini, non un rumore o le luci riflesse, ma un qualcosa di più profondo e viscerale, una sorta di consapevolezza che non ce l’avrei fatta, mi avrebbero catturato proprio all’ultimo metro, già vedevo le loro camice e i loro pullover e il nauseante odore di dopobarba su quelle mascelle squadrate mentre aprivano lo sportello e con una grassa risata mi osservavano senza dire nulla di nulla, non ce n’era bisogno, il mio cervello sotto shock che non riesce neanche a processare le informazioni, arreso, pronto ad essere massacrato, per poi scoprire che stavo fantasticando su quello che mi sarebbe successo se mi avessero trovato, quando in realtà stavo ancora correndo verso il guardrail che pareva allontanarsi nonostante i miei sforzi proprio mentre sentivo viscerale e nauseante la loro presenza incombere ineluttabile nell’oscurità alle mie spalle.
Qua sotto il video:
https://www.nytimes.com/video/opinion/100000004882589/ten-meter-tower.html
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