L’appuntamento è alle 16:15 e come sempre arrivo prima, tipo venti minuti. Ma io amo le attese, sono forse il massimo della felicità, e il fatto che esistano delle “sale d’attesa”, come direbbe Rovazzi, mi fa volare. Così sfoglio riviste tipo “DiPiù”, “Vera”, “Gente” e “Diva”, leggendo del matrimonio di Pippa, del litigio tra Kim Rossi Stuart e la sua ragazza, del ritorno di fiamma tra Scamarcio e la Golino, della luna di miele di Carlo Conti e altre splendide amenità. Faccio un quiz psicologico per sapere se sono o meno in vena di tradimento. La donna prima di me urla di dolore.
Con un po’ di ritardo Sandro mi chiama. Da quando sono venuto qua per la prima volta, Sandro è diventato una sorta di chirurgo asceta, sempre più magro, sempre più pacato, sempre più svelto. Non mi chiede della mamma o del babbo. Mi chiede del dente.
Sì, dico, ho un’altra carie. Come l’altra, ma speculare.
Disto-buccale, dice lui leggendo il referto fatto la settimana scorsa.
Buccale, hahaha, mi fa ridere.
Mi metto sulla sedia e apro la bocca. Sandro controlla soffiandomi l’aria con la cannula nel punto che diceva e vedo letteralmente le stelle, poi con quello strumento uncinato comincia a scavicchiare. Da un luogo retrostante della mia mente giunge la parola: anestesia. Ma non lo dico.
Prende il trapanino.
Come sempre dal dentista guardo la mia bocca riflessa sulla lampada, non so se vedere fa più male o no e penso a Old Boy, dove si postula il dominio dell’immaginazione del dolore sulla realtà dello stesso, nella scena dove cava dei denti con un martello d’acciaio. Decido di guardare direttamente la luce, ostentando tranquillità. Noto quindi, non senza un po’ di meraviglia, che non c’è l’assistente di sedia – mi pare che si dica così. Sandro mi mette l’aspirasaliva commentando che sbavo un sacco. Mi chiede di reggerlo mentre col trapano entra finalmente nella caverna che la carie ha scavato nel mio premolare. Sento malissimo, chiudo gli occhi e stringo i pugni. Solo ora parla di una “leggera anestesia” che potrebbe farmi e io penso alla scena de Il maratoneta dove il nazista devitalizza i denti a Dustin Hoffman per farlo parlare. Ci penso ogni volta che vado dal dentista. Sandro ha pure gli occhiali con le lenti super spesse come l’angelo bianco – incrocio un secondo i suoi enormi occhi azzurri.
Finalmente arriva l’assistente di sedia, appena in tempo per passargli la pistola con cui mi inietta l’anestesia. Sono tutti e due con la mascherina sopra la mia faccia. Sandro ricomincia con il trapanino e stavolta sento meno male intanto che sale il tipico odore di ossa segate.
Mi fa sciacquare, suona il telefono e l’assistente di sedia va di là a rispondere perché anche la segretaria oggi è in ritardo.
Dev’essere successo qualcosa, mugugna Sandro imperturbabile.
Di là è una conversazione piena di convenevoli e di auguri natalizi. Sandro mi chiede ancora di reggere l’aspirasaliva. Poi fa uno sbuffo che cerco d’interpretare, se sia bene o male, cambia strumento e io non resisto e guardo la mia bocca riflessa sulla lampada. Quando torna l’assistente di sedia Sandro le chiede se la signora Tal dei Tali ha confermato l’appuntamento. In sottofondo c’è Norah Jones, a occhio direi un best of.
Cuneo, dice.
L’assistente glielo passa.
Vedo la punta di questo strumento del diavolo, è arancione e fatta a cuneo.
In una decina di minuti Sandro finisce di pulire la carie e inizia una fase più odiosa, perché per mettere la matrice, visto che la “cariolina” era vicino alla gengiva, deve tipo limare tra i denti con dei nastrini di carta vetrata che non si infilano bene. Usa le pinze e ho paura che gli scatti la mano nel fare forza e mi spacchi i denti di sopra. Sfoggio tranquillità mentre penso al nazista. Der weiße Engel, non la farà franca.
Sandro allora mi mette un aggeggio per tenere la bocca più aperta di quanto non sia già. Fa forza. Lima. Ho la bocca spalancata. Poi applica la matrice e l’assistente di sedia, mentre con una mano tiene l’aspirasaliva, con l’altra mi mette la pistola luminosa sul dente, una specie di lampada che fissa la matrice tramite qualcosa di diverso dal calore.
Penso che andare dal dentista sia qualcosa che ci riporta ai vecchi tempi, tipo nel medioevo, perché è una chirurgia veloce, manuale, praticata con strumenti dall’apparenza rudimentale, una chirurgia in cui resti vigile e soffri. Non credo però che nel medioevo praticassero otturazioni.
Sciacquo e sputo. Sento il sapore ferroso del sangue.
Alla fine tutto sembra risolto. Non devo neanche tornare come l’altra volta che mi aveva fatto un’otturazione provvisoria.
Questa volta è definitiva.

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