Una vecchia convinzione di Simone è che ogni narrazione sulla coppia (fidanzamento, matrimonio, “usciamo insieme”) sia impossibile. Lo ripete da anni ed io da anni, solo per un gusto polemico che mi appartiene determinando la mia indole autolesionista, tento di distruggere questa sua idea, come qualsiasi idea che non venga formulata direttamente di volta in volta da me (il mio è solo un comportamento autolesionistico: un autolesionismo polemico).
Per Simone (anche se non ne parla propriamente in questi termini) l’impossibilità narrativa della coppia è una eredità che ci tramandiamo dalla favola, che Propp ha dinoccolato adeguatamente mostrandoci che esistono delle funzioni all’interno dell’intreccio e che una delle funzioni principali è che il plot giunga ad una conclusione e che questa conclusione sia per lo più “e vissero felici e contenti”, senza poi andare mai ad analizzare la quotidianità che quella felicità comporta. Perché quella felicità non ha un conflitto. Perché se non c’è conflitto non c’è progressione. Se non c’è progressione non c’è storia. Se non c’è storia gli opposti rimangono rigidamente contrapposti. Simone non sa che quando afferma che non è possibile una narrazione sulla coppia, in realtà sta programmaticamente affermando di essere un hegeliano di destra (mia tipica polemica autolesionista).
Così di quando in quando gli scrivo messaggi per dimostrargli che le sue convinzioni sono errate:
IO: “Simo, pensavo alla tua vecchia e forse ormai passata “ossessione” per l’impossibilità di un racconto di una coppia felice e mi è venuto in mente che il matrimonio è narrabile soprattutto nel comico burlesque o grottesco, basta pensare a Stanlio e Ollio, dove l’uno rappresenta una dimensione puramente pragmatica e risolutiva, un’azione goffa ma maschile, mentre l’altro ha una componente femminile di caos e messa in dubbio. Stanlio e Ollio sono un’immagine dell’azione, un duale perpetuo in tutte le relazione che riescono a stabilire col mondo (donne, ladri, poliziotti, fughe, lavoro, etc…), propagano la loro dualità sostanzilamente all’infinito, rilanciando proprio il numero due come coppia in un’ascesa grottesca di ridicolo che non scade nella stanchezza (del matrimonio, della coppia, della fine di una narrabilità). Stanlio è un rappresentante affettivo, è colui che perde la ragione e scatena la catastrofe pratica, ma con un intuito tale che gli permette di passare indenne attraverso il mondo e tutti i suoi pericoli, mentre Ollio, il maschio della coppia, è totalmente privo di risorse intuitive tanto che cade in tutti i tranelli e in tutte le catastrofi che ha scatenato Stanlio. Insomma, ogni storia duale è raccontabile dal punto di vista della coppia, se i due poli si contrappongono amorevolmente come nel matrimonio tra Stanlio e Ollio. Non so se sei d’accordo.”
SIMO: “Mi sembra una riflessione molto giusta, sì. Ma come ti spieghi l’oblio in cui siano caduti oggi Stanlio e Ollio? Non ti sembra la conferma del fatto che in fondo alla lunga è una roba noiosissima? Comunque il tuo pezzo direi che è pronto per stare sulla bocciofila.”
IO: “Non credo che siano nell’oblio, vengono trasmessi ripetutamente in televisione, senza dubbio più di Buster Keaton, (che dal punto di vista storico ha un’importanza non paragonabile a quella di Stanlio e Ollio). Il problema semmai è che il punto di vista della coppia viene ripetuto senza modificare mai l’angolo di ripresa (per così dire), cioè la macchina da presa come coscienza voyeristica rimane immutata nell’arco di tutta la loro carriera, producendo un senso di ripetizione che stanca lo spettatore. Ma Stanlio e Ollio come funzioni narrative della coppia matrimoniale non stancano affatto. Cioè voglio dire: non ci stancano loro come termini logici e astratti, ma ci stancano loro come termini in carne e ossa, come tipo di percezione concreta che propongono. Non è la coppia ad annoiarci, sono i due attori che hanno fatto migliaia di film.”
SIMO: “Dai fers scrivi sto pezzo per la bocciofila, basta che screen shotti la conversazione!”
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