1.
Abbiamo comprato il cibo al Conad. Il formaggio a fette, il prosciutto crudo, i panini.
Poi scivolati nel parco.
Sotto un albero, su un muretto, con le gambe a cavalcioni, il cibo nel mezzo. I nostri zainetti buttati qua e là, i piccioni a piccoli gruppi di tre quattro o cinque, il parco semi-deserto per il caldo.
F. indossava i suoi pantaloni da basket, una canottiera, anche delle scarpe nere di tela. E abbiamo mangiato parlando della scuola finita, delle vacanze al mare, del fatto che si muore e che se tutto va bene ci rivedremo a fine agosto.
Vicino a noi sulla destra un signore parlava al telefono, raccontava che aveva pagato una bolletta, che aveva capito che a lui piaceva proprio pagare le bollette e far la coda alle poste.
Noi mangiavano con i nostri piedi e gambe a cavalcioni di quel muretto. F. tirava un pezzo di mollica a un piccione, e quel tipo al telefono che parlava ci sembrava così tanto lontano da noi: dalle nostre gambe rivolte le une verso le altre, che una o due volte si toccavano.
E in mezzo i panini.
2.
Ho scritto ancora alla mia amica F. solo perché era on-line:
Che fai dopo oppure adesso?
Faccio tipo questo, e inviato un’immagine. Era l’immagine della facciata di una chiesa.
[sta scrivendo]
Dopo puoi accompagnarmi a portare fuori il cane.
E siamo andati.
L’estate: un signore in terrazza senza la maglietta.
Un altro signore anziano in terrazza con i pantaloni corti molto alti in vita.
I cani che ci abbaiavano dalle terrazze.
I fiori dei capperi.
Le sedie da giardino di plastica bianche rotte accanto ai bidoni dell’immondizia.
Camminavamo veloci, come se ci fosse fretta di arrivare, o un posto dove, il cane di F. faceva i bisogni e lei li raccoglieva con un sacchettino: questo era successo almeno due volte. Poi F. aveva tenuto in mano il sacchetto con la merda fino a un cestino, quello dell’umido e io allora le dicevo che forse non doveva buttarlo nell’umido, ma nell’indifferenziato.
Ma sei sicuro?
Quando poi abbiamo finito di fare il giro dell’isolato ancora ne stavamo parlando, di dove buttar le feci del cane.
Ci siamo salutati sulla porta, il cane col muso già rivolto verso casa.
Gli occhi mi frizzavano per la luce del sole.
3.
Quando poi ci siamo rivisti, un mese e mezzo dopo, lei mi ha chiesto: Raccontami della tue vacanze. F. aveva indosso i soliti pantaloni da basket neri, ho pensato che non se li doveva esser portati con sé in vacanza.
Raccontami te perché poi sarà il mio turno e ne avrò per un bel po’ quindi bello, prima che sia tardi dimmi tutto, vai prima te,
Ok!
Vai allora, dimmi
ma non mi veniva in mente niente da dirle, niente di niente,
non è successo niente
dai, non è possibile
allora le ho raccontato che un giorno, d’estate, con dei miei amici del mare avevamo trovato in pineta uno che era morto, e allora niente, l’avevamo trovato proprio noi.
E chi era?
Era un bambino.
Un bambino?
Un bambino morto.
Come?
Morto. No, dai, non è vero, era un vecchio, avrà avuto novant’anni.
Ahhh ok. E poi?
E allora abbiamo chiamato la polizia con la chiamata in incognita, ma non eravamo sicuri che potessimo chiamare davvero in incognita la polizia, e quindi dopo siamo scappati in un bar dove tra l’altro hanno il biliardino.
…
Sì.
E poi?
Basta. Tutto qua. Ti dicevo che non era successo nulla.
…
Sai quando ero piccola pensavo che morissero solo gli anziani? Che potessero morire solamente i vecchi. Che si cresceva, si invecchiava e poi si moriva. Aveva senso. Invece poi scoprii che muoiono anche i bambini.
…
Soprattutto i bambini.
Eh?
…
…
Vai, adesso è il tuo turno a raccontare, ho detto io tanto per dire qualcosa.
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