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In fuga dalla bocciofila

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Sound of Metal | Membrane

19 Ottobre 2021 di Leonardo Biancanelli

 

Furono due fischi simili, e ai fischi fece seguito la paura, l’ovattamento, il dolore. Poi fece seguito il silenzio, e il suono dei pensieri prese il sopravvento. Allora pensai che il linguaggio servisse all’uomo per comunicare non solo con gli altri, ma anche con se stesso: per ascoltarsi pensare. 

Il movimento della mano aperta non lo compresi affatto, eppure piombò su di me come un tuono nel buio e colpì la guancia, parte del collo e l’orecchio sinistro. Da lì il primo fischio, che continuò per un minuto buono. 

A un genitore destro che porti un anello, raccomando che lo infili a un dito della mano sinistra, per rispetto dei figli: perché della botta non è tanto il fischio che spaventa, quanto il sangue che cola sul collo.

Furono due fischi simili, e per entrambi le conseguenze non furono gravi; grave fu piuttosto la sensazione di essere cresciuto oltre le proprie aspettative: «c’è un prima del fischio e un dopo il fischio. Ecco come cambia la vita, non senti niente, vero?», pensai.

Il remo era bianco e aveva preso le dimensioni di una tazzina da caffè; baluginava giù sul fondale, tra i miei piedi. Le domandai se quello fosse davvero il remo. Mi rispose che pensava di sì e io pensai, invece, che sarebbe potuto essere qualunque altra cosa, una lattina, un pesce morto. 

Mentre scendevo e mi strizzavo il naso soffiando nelle orecchie, sentivo il peso aumentare, il fiato diminuire e vedevo la tazzina trasformarsi davvero in un remo. A metà strada il mare si prese l’orecchio sinistro e arrivò il fischio, ma continuai a scendere. 

Afferrai il remo, che in realtà era una pagaia, e pensai «ce l’ho fatta». In alto, invece, il sole aveva preso le dimensioni di un’unghia: lo vidi a una distanza abissale, tremolante. Non avrei mai pensato di annegare con un fischio nell’orecchio e una pagaia in mano. 

Là fuori c’era un mondo diverso, ebbi comunque paura di perderlo: «basta un tragitto così breve per avvicinarsi così tanto al confine?», avrei pensato poco dopo, sibilando senza fiato su uno scoglio piatto, con la testa tra le ginocchia, a far colare l’acqua fuori dalle stanze del labirinto che ho in testa. 

Furono due fischi simili, quello della sberla e quello del recupero della pagaia in mare, ma il primo era venuto sicuramente dopo la botta, il secondo non ho ancora capito a che punto sia arrivato, o se se ne sia mai più andato.

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Postato in: Anatomia di un fotogramma, La sindrome del personaggio secondario Tag: Acufene, Batteria, Cambiamento, Riz Ahmed, Sordità, Tamburo Fai un commento

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