Ricciolo, vagamente ingobbito, sfigato senza quartiere ma molto molto sensibile: parla livornese o al limite pisano. È questo l’uomo italiano, il paradigma dell’anima nobile di un popolo, secondo il modello di Virzì – che a questo punto si erge a miglior esegeta odierno, qua da noi sullo stivale. Per Chiarini è un uomo/testuggine che tira fuori la testa a fatica, contemporaneamente alla cappella, incastrata nelle strette cerchie del proprio prepuzio. È un gigantesco prepuzio morale, etico ed esistenziale, quello che attanaglia le nostre menti, incapaci così di eiaculare liberamente e senza soffrire, negate anche della gioia della masturbazione. Menti cui si nega la filosofia, dunque. Menti apolitiche ed asociali. Menti da formarsi. E così si forma ed emerge, si staglia infine contro le colonne d’Ercole di una verginità che non è autoinflitta bensì subita dalla nascita, una verginità dolorosa e coatta, che si può solo operare. Bisturi prego: zac! Il dottore è stato piuttosto chiaro in questo. Il glande si rilascia. Emerge.
E se prima neanche la più fica che ce la dava poteva essere una scopata di cui vantarsi con gli amici, se prima persino l’amore, cui prelude il sesso – sudato ed ansimato – ci era negato per deformità congenita, ecco che adesso le grandi labbra non fanno più paura ed ogni vagina è potenzialmente arrembabile, ogni ansito è di nuovo abitabile, in un eterno condono dei precedenti fallimenti.
Edo è come ogni uomo: un cazzo parlante. Ogni pensiero transita prima dai suoi testicoli – quei testicoli oberati di pratiche, occlusi e gonfi di una gloria che è solo raccontata – per venire (venire!) infine espresso in un malcelato disappunto della bocca, quella posizione sfavatissima del volto che è tipica, nell’uomo virzinianus. Così ecco perdere la ragazza da sempre amata solo perché non la si è potuta scopare, ecco perdersi in un bicchier d’acqua con l’ennesima che ancora una volta ci ama “proprio perché sfigati, proprio perché sensibili”. Chiarini compone un inno a questa fottuta generazione emo. Forse l’ennesimo film inutile e molto godibile, l’ennesimo film italiano con la “i” minuscola, che parla dei genitori-dell’adolescenza-dell’amore-della società, che non dice nulla e se ne vanta, che sceglie il passo già battuto per raggiungere i nostri cuori (non sappiamo forse fin dall’inizio che Edo prenderà quel treno per sporgersi finalmente e senza timore dei pali e delle gallerie?) ma che lo fa bene, e in fondo cosa cavolo vogliamo mai dire noi, di questa generazione così nostalgica, così sensibile, così vuota di certezze e piena di speranze, così intenta ad ingoiare uova che non vanno né in su e né in giù ma che ormai ci fanno tanta, tanta compagnia.
Io penso si possa incominciare a raccontare di più, a farlo meglio, diversamente, e che nel frattempo vada anche bene vedersi un film carino (sic) e ben recitato su un tizio col cazzo deforme che alla fine – che altro? – ce la fa.
Antonioni è ancora lontano, ma viva le seghe.
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