Salve, sono l’uomo più ricco del mondo e questo è il giorno più importante della sua vita.
Innanzitutto lasci che le dica che è un onore poterle parlare, quello che ha fatto è stato sempre di grande ispirazione per me.
Cosa mi direbbe se le offrissi di fare un giro in orbita, una bella surfata, lassù fra le stelle? Cosa mi direbbe se le dicessi che sta per diventare l’uomo più anziano di sempre ad andare nello spazio? Eh, cosa mi direbbe Bill?
Mi sente Bill?
Signor Shatner – William – posso chiamarla Bill?
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Prima di interpretare il capitano James T. Kirk, l’ufficiale comandante dell’Enterprise in 79 episodi della serie “Star Trek” più i sette film che seguirono, i cartoni animati e diversi videogiochi, William Shatner è stato un promettente attore shakespeariano a Broadway e ha impersonato Alëša Karamazov, il fratello tanto caro al suo autore, naturalmente portato alla spiritualità, in un film del 1958 tratto dal romanzo di Dostoevskij.
Di quel personaggio Shatner ricorderà per sempre un monologo:
Sappiate che non c’è nulla di più sublime, di più forte, di più salutare e di più utile per tutta la vita, di un buon ricordo e soprattutto di un ricordo dell’infanzia, della casa paterna. Vi parlano molto della vostra educazione, ma qualche meraviglioso, sacro ricordo che avrete conservato della vostra infanzia, potrà essere per voi la migliore delle educazioni. Se un uomo porta con sé molti di questi ricordi nella vita, egli sarà al sicuro fino alla fine dei suoi giorni.
È nato a Montreal nel 1931, l’anno in cui i Montreal Canadians vinsero contro Boston 4 a 3 e divennero campioni del mondo di Hockey.
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Cosa le ricorda il missile, Bill? Avanti, non si vergogni, crede che non lo sappia? È del tutto voluto. È del tutto voluto che il missile abbia la forma di un pene. Un enorme, smisurato, mastodontico pene.
Noi saremo seduti all’interno della cappella. Che dire. Speriamo che rimanga duro abbastanza. Non vorremmo mai che si ammosciasse, vero Bill?
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L’Hindenburg, il più grande oggetto volante mai costruito.
Il Titanic dei cieli, orgoglio nazista finanziato in parte da Adolf Hitler in persona, completò una doppia traversata atlantica nel tempo record di 5 giorni, 19 ore e 51 minuti.
A causa di un’anomalia al motore del razzo il lift-off subirà un piccolo ritardo rispetto a quanto precedentemente schedulato.
Il 6 maggio del ’37, mentre cercava di attraccare, dal momento che una scintilla venne a contatto con l’idrogeno all’interno del dirigibile, lo zeppelin prese fuoco e venne distrutto nel giro di mezzo minuto, una gigantesca quanto fugace vampata nel cielo del New Jersey.
Bill aveva sei anni.
L’anomalia al motore del razzo non è preoccupante. Chiediamo l’autorizzazione al lancio.
Nel disastro dell’Hindenburg molti passeggeri e membri dell’equipaggio morirono bruciati vivi o lanciandosi nel vuoto.
Autorizzazione al lancio concessa. Si dia inizio al conto alla rovescia.
Bill ha questa immagine in testa mentre il carburante si incendia con un boato sotto i reattori e la gente fuori è tutto presa dal furore della partenza.
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Prima di essere del tutto privo di peso il corpo arriva a pesare anche due o tre volte quanto pesa sulla terra.
Sottoposto a una pressione del genere Bill pensa che solo qualche mese fa era seduto in salotto davanti al caminetto a grattare la testa di Duncan, il suo gatto.
Poi ci stati i test attitudinali e le esercitazioni, le TAC coronariche, gli elettrocardiogrammi sotto sforzo e gli esami del sangue.
Finalmente andrò nello spazio, si era detto. Non più lo spazio dei modellini e dei fondali dipinti; lo spazio, quello vero.
Vedrò quello che Dio vede tutti i giorni.
Gli occhi gli affondano nelle orbite e la lingua si ripiega gonfia nel palato.
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Finita la pressione è come se si risvegliasse, tutti cominciano a fare capriole a rallentatore all’interno della capsula.
Noncurante degli altri Bill libra fino all’oblò per guardare la Terra. Vede un buchino nello strato d’ossigeno cotonoso che la avvolge e pensa che è da lì che sono passati, lo hanno fatto loro il buchino. Poi vede il beige dei continenti e l’azzurro degli oceani e si accorge di stare balbettando anche se non sta parlando – forse il tremolio alle labbra è una conseguenza della pressione di poco fa o forse non trova davvero le parole.
Un poeta, pensa, avrebbero dovuto mandarci un poeta.
Poi si gira dall’altra parte e non vede nulla. Non vede nulla nel senso che non c’è nulla, è tutto un nero sterminato e infinito che si apre dappertutto.
Non c’è mistero, né maestoso timore reverenziale da contemplare… tutto ciò che vede è la morte. Vede un vuoto freddo e scuro. È diverso da qualsiasi oscurità si possa vedere o sentire sulla Terra. È profondo, avvolgente, totalizzante.
Tutte cose che sapeva, intendiamoci – che siamo uno sputo nell’universo, un atomo di sale nella mareggiata – ma adesso, guardando a quel nero assoluto con quel puntino celeste e beige in mezzo, queste cose le sa davvero perché le sente e, come avrebbe detto Alëša, non c’è migliore via di conoscenza del sentimento.
Bill allora si rende conto che ha una voglia incontenibile di piangere, piangere un pianto che gli sale dal centro del petto e gli informicola il naso come quando sua madre usciva per fare la spesa e lui pensava che non sarebbe tornata più.
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I paracaduti si aprono con uno strattone, la capsula oscilla e oscilla finché si posa dolcemente sul deserto. L’atterraggio è andato a buon fine.
Sì, cazzo! Miglior giorno della mia vita, dice l’uomo più ricco del mondo completamente fuori di sé.
Gli altri due turisti paganti hanno l’aria più pacata ma si premurano comunque di diffondere un sorriso a quaranta denti ovunque rivolgano lo sguardo ancora stravolto dal rientro in atmosfera.
Bill esce fuori dalla capsula barcollante, la testa incassata nelle spalle.
C’è un abbraccio insieme agli altri dal quale non riceve niente.
Allora prende da parte l’uomo più ricco del mondo, che ha un occhio più chiuso dell’altro e ha passato moltissimo tempo in palestra. Prova a spiegargli quello che ha visto lassù, quello che ha provato, ma i tempi del suo racconto sono quelli di un nonno, c’è tutto l’armamentario di sbuffi e pause e sospiri e poi è appena rientrato dallo spazio… così non fa in tempo a entrare nel vivo – le grosse mani nodose sembrano stringere qualcosa – che l’uomo più ricco del mondo sciabola una bottiglia di champagne e tenendola come un pene spruzza tutti di schiuma.
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“Shatner nello spazio” è il documentario che parla del recente viaggio di William Shatner, il capitano Kirk, al di là dell’atmosfera terrestre.
È stato tutto un’enorme pubblicità per la campagna spaziale dell’uomo più ricco del mondo, lo stesso che ovviamente produce anche il documentario e Shatner, l’uomo più anziano di sempre a essere stato nello spazio, dovrà usare toni ammorbiditi per dire quello che ha visto lassù. Niente torte sulla morte e sul nulla, niente che possa terrorizzare la gente.
La segretaria di produzione gli passa le battute da dire.
Ripeteremo la scena come se fosse ancora sull’astronave e stesse guardando fuori dall’oblò per la prima volta.
Bill si gira. Alle spalle ha tre pareti verdi alte il doppio di lui.
Qui non è come nello spazio vero, Bill. Qui non deve pisciare in un tubicino.
Bill sorride, annuisce.
Bene, incominciamo, sussurra la segretaria rendendo più caldo il tono della voce.
L’operatore dice cinque, quattro, tre, poi fa soltanto il segno dei numeri con le dita.
Sullo schermo il faccione bonario del vecchio attore viene sovrapposto all’immagine della Terra vista dall’alto. Bill vede soltanto il verde chiaro della parete, pantone 354.
In effetti la vita è proprio così. Tua madre esce a fare la spesa e un giorno non ritorna più.
Il regista si toglie una cuffia.
Non la sentiamo Bill, parli più forte. Si attenga alle battute e parli più forte.
Posso chiamarla Bill?

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