Una notte, mentre Mangiafuoco dormiva russando placidamente, Pinocchio si destò da un sonno nervoso e senza sogni.
Fece qualche prudente passo all’interno della carrozza prima di vedere i burattini alla luce plumbea della luna che trapelava dalle finestrelle. Tutti stipati uno accanto all’altro, i burattini avevano i capi sbilenchi sulle spalle dure, le braccia malmesse o ritorte al contrario, le gambette sciancate, e i fili pendevano flosci sopra ognuno di loro come spaghetti scotti.
Quando uno doveva sbadigliare o grattarsi la testa, i fili si tendevano facendogli cigolare appena le viti nelle giunture, il bandolo perso nel buio.
L’aria era polverosa come la soffitta di una vecchia nonna.
Solo i fili di Minuzzolo erano tutti ben tesi e portavano a un angoletto sgombro, dove il piccolo burattino sedeva pensieroso.
Minuzzolo era un burattino minore, più volte messo tra la legna da ardere, ma era sempre scampato al fuoco per via dei tarli che lo consumavano e che ne facevano legna scadente.
Li senti?, disse Minuzzolo a Pinocchio. Sono i tarli che ho nella testa. Mi stanno finendo. Tra poco sarò soltanto un cumulo di segatura.
Ogni notte lo stesso concertino. Come se gli cambiasse qualcosa, all’infinito, a essere pensato da me.
E tu, Pinocchio, ce li hai i tarli nella testa?
Suppongo che il mio tarlo sia diventare un bambino vero, rispose Pinocchio.
Essere me stesso. Seguire i miei sogni. Avere delle ambizioni. Questi sono i miei tarli.
Oh, ma che bei tarli! Che tarloni!, fece Minuzzolo, e i fili tirarono sollevandogli le braccia fin sopra la testa.
Quindi zompò in piedi.
Il primo rischio di ogni burattino, riprese, prima ancora del fuoco, sono i tarli. Devi darti l’olio con costanza se non vuoi finire come me, continuò.
E poi perché mai, Pinocchio mio, vuoi diventare un bambino vero?, chiese Minuzzolo girandogli intorno e scrutandolo come se avesse qualcosa di storto.
Per far felice il mio babbino, rispose. E poi me lo ha detto il grillo, e la fatina, e il mondo intero sembra convincermi di questa cosa.
Accidenti Pinocchio, credevo che tu non li avessi i fili, e invece…
Beh ma anche io lo voglio! Anche io voglio diventare un bambino vero!
Quanta presunzione per essere un burattino, mio caro Pinocchio.
Quando ero soltanto un pezzo di legno anch’io volevo essere me stesso, volevo essere padrone delle mie scelte e avere una vita libera dai condizionamenti, libera da tutto e da tutti.
Volevo e volevo e volevo, tantissime cose.
Ma poi mi misero i fili e tutto diventò più semplice, come per magia. Essere se stessi, è questa la vera favola, disse non senza una certa soddisfazione.
Entrai nel mio primo spettacolo subito dopo le ultime piallate. E lo feci, ti confesso, ben felice. Solo la notte mi ricordo ancora di essere Minuzzolo, e guardo al buio dove si governano le matasse e al paesaggio sempre nuovo e sempre uguale fuori dalla carrozza.
Ora capisco, disse Pinocchio, perché Mangiafuoco vuole metterti costantemente fra la legna da ardere. Sei un tale chiacchierone che il Grillo parlante non è nulla al confronto!
Che ci vuoi fare, Pinocchio. Questi sono i miei tarli.
E i fili nuovamente si fecero molli, man mano che il suo corpo si coricava e la sua bocca si chetava.
Pinocchio allora provò per curiosità a guardare fuori e a pensare all’infinito, ma si stancò quasi subito, e in men che non si dica ritornò a dormire.
Rispondi