Ciao Margot. Come stai?
Lei si chiamava Margot, aveva occhi verdi dentro ad un viso scozzese. Se ne stava spesso in camera sua china sui libri. Aveva una valanga di lentiggini. Aveva i capelli neri. Quando mi vedeva sorrideva. Quando vedeva chiunque, ad essere sinceri, sorrideva. Più che sorridere saltava. Più che saltare distruggeva ogni cosa. Era piena di vitalità. Era innamorata della vita. A volte la notte tornava a casa e prima di andare a letto si metteva a ballare sul tavolo. La mattina dopo mi diceva che era dispiaciuta che non avessi fatto casino con lei. Anche io ero dispiaciuto. Ogni tanto la trovavo a guardare delle serie televisive su Netflix. Studiava italiano guardando New Girl. La prendevo in giro e lei saltava sul letto. Non mi capacitavo di come fosse in grado di imparare tutti gli articoli determinativi e indeterminati e via dicendo guardando New Girl. Pure la professoressa di Italiano non era molto convinta da questo metodo di studio. Le dicevo fai questo e quello e lei cantava. Spesso veniva da me a chiedermi dove erano nascosti i dolci. Spesso mi confessava che voleva dormire, la sera prima aveva bevuto troppo. Amava il gelato. Spalancava gli occhi come Zooey Claire Deschanel alla fine della sigla di New Girl. Ha sempre liquidato New Girl come una scemenza. Capivo il suo inglese nonostante tutto non so come. A volte facevo finta di non capirla. Non so perché. La aiutavo a fare i compiti. Una sera misero la musica a tutto volume e tirarono fuori bottiglie di alcool da tutte le parti. Non riuscivo a capacitarmi di dove potessero aver nascosto tutta quella quantità di alcolici. Io ero invitato alla loro festa. Ero contento. Ero uno di loro.
Margot amava ballare sui tavoli. Le andavano bene anche le sedie. Il pavimento un po’ meno. Ogni tanto andava a correre per tenersi in forma. Ogni tanto. Non così spesso. Una volta eravamo per le strade di Padova. Chiacchieravamo allegramente ridendo di quello e di quell’altro. Lei era al contempo più cauta e perfida di me. Era molto interessata a vedere cosa potessi risponderle. Come me la cavassi con l’oggettività e la crudeltà. Devo aver passato l’esame per un pelo. Era piacevole e biascicava una gomma. Aveva un piumino nero. I capelli molto lunghi. Quando se ne andò via mi lasciò una lettera sotto la porta. Era così dolce e carina e piena di affetto e di vitalità, quella lettera era così bella che scoppiai a piangere. Non che dicesse chi sa cosa. Era il tono. Il modo. Il fatto che fosse stata scritta a mano. Che la busta fosse stata chiusa. Che ci fosse il mio nome. Mi fece sentire bene e triste. Non volevo che se ne andasse. Sarei scoppiato a piangere comunque, ma a causa di quella lettera piansi ancora di più se possibile. Ancora oggi sinceramente quando la rileggo crollo in un pianto vagamente stupido. Molto tempo dopo una sera torno a casa e trovo la mia ragazza su Netflix che guarda Jess e Nick coabitare. Mi sono detto: ok, mi arrendo, lo guardo.
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