Davanti casa un’ambulanza si allontana a sirene spiegate mentre alcune volanti sostano accerchiate da un capannello di passanti curiosi. Nella piazzetta gli agenti cercano di sedare gli animi e ricostruire l’accaduto, rimettendo assieme i pezzi di una divergenza d’opinioni sfociata in una violenta scazzottata.
Nella confusione, un uomo di mezza età si defila dalla folla zoppicando, raggiunge uno scooter parcheggiato poco più in là e senza indossare il casco parte filato. Nessuno sembrava essersi accorto di lui. Quando mi passa davanti, i nostri sguardi si incrociarono e rincorrono fino a che non si dilegua nelle strade del quartiere.
Sono certo di conoscerlo, abitiamo nello stesso palazzo, ma di lui non so molto, oltre al fatto che parcheggia il suo grosso scooter dove parcheggiano tutti i condomini dotati di mezzi a due ruote: in uno spiazzo davanti l’ingresso, tra un gruppo di cassonetti dell’immondizia e alcuni vecchi alberi le cui radici gonfiano asfalto e marciapiede. Spiazzo che, da tempo, è diventato un orinatoio pubblico per chiunque, la sera, si ritrovi in zona a bivaccare.
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Qualche giorno prima passavo proprio lì, quando si è avvicinata una tipa minuta, gli occhi dal profilo a mandorla, per chiedermi se mi fossi accorto di quel tanfo che, parole sue, quando esci di casa ti fa passare la voglia di respirare. Era risentita. Tra escrementi di cani e pisciate di perdigiorno, ha detto, questo posto è diventato una latrina.
La gente se ne frega, le ho risposto. Non che mi interessasse del degrado, per quanto mi facesse schifo uscir di casa col naso tappato e gli occhi puntati a terra, volevo solo conversare. In quel quartiere e in quel palazzo ci vivevo da anni e non potevo dire di conoscere un suo abitante, perciò accettavo qualsiasi chiacchierata di buon grado, nella speranza di costruire una minima relazione col prossimo, superando la diffidenza e l’indifferenza che, da quelle parti, rendevano la vita frustrante.
Abbiamo continuato a discutere, sino a che un tizio alto e brizzolato, con indosso una maglietta scura e dei jeans slavati, si è materializzato alle sue spalle, posandole una mano sopra e puntando gli occhi su me. Gli ho fatto un cenno col capo, in segno di saluto, ma non ha ricambiato, o meglio, ci ha provato, ma i muscoli del collo gliel’hanno impedito, contrendosi in uno sforzo che vedeva contrapposti educazione e orgoglio. Poi, con la stessa indifferenza e furtività con cui è arrivato, se ne è andato. Lei l’ha seguito, non prima di salutarmi con un sorriso tutto sommato sincero.
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Alla sera la piazza riprende il solito via via. Il grosso scooter dell’uomo brizzolato è rientrato. Sosta lontano dalla latrina, sdraiato sul cavalletto laterale. La fiancata è solcata da vistosi graffi; la pedana e lo scudo frontale tenuti alla bene e meglio con del nastro americano; la plastica del carter mangiata dall’asfalto; uno specchietto troncato. Cosa è successo? Sono preoccupato per la sua salute, vorrei saperne di più. La mia curiosità è mossa dalla voglia di comportarsi da buon vicino, non essere insensibile alle disgrazie altrui, voglia di costruire una comunità, ma anche di farsi i cazzi degli altri per farne argomento di discussione. Ma non so nemmeno a quale piano e interno abita, figurarsi. E la signora dagli occhi a mandorla, starà bene?
Sta bene. La mattina dopo li ho visti uscire dal palazzo. Lui sempre zoppicante, con una garza che gli fascia la nuca; lei stretta a braccetto, ad accompagnarlo nella camminata. Stannouniti, come fossero una cosa sola, come se il mondo circostante non li riguardasse.
Raggiungono il grosso scooter, fermo sull’altro lato della strada, dove li aspetta coricato sul cavalletto laterale, come un ronzino vecchio e acciaccato che non lascia a piedi il suo padrone, anche quando è messo peggio di lui.
Lei l’aiuta a stringere e chiudere il casco, per via delle garze, poi indossa il suo e monta in sella, lato passeggero. Partono e mi sfrecciano davanti. Lei fa in tempo ad alzare la mano per salutarmi e lui, l’ho visto di sfuggita ma sono certo che l’ha fatto, muove impercettibilmente il capo, dal basso verso l’alto. Io, con lo stesso trasporto di chi scopre l’esistenza di altri esseri umani dotati di empatia in un mondo che ne sembra privo, ricambio, commosso.
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