Una teoria afferma (mio padre) che noi siamo il nostro armadio. Esattamente. Punto punto. Roba buttata, che ci si è dimenticato di avere e altre cose che invece noi usiamo spessissimo, il nostro vestito preferito del periodo, eccetra.
In Kaurismaki gli armadi sono vuoti.
E non perché i personaggi siano piatti, o semplici, o essenziali. Ma perché sono sempre poveri. Hanno due vestiti. E oltre a questo perché sì, sono archetipici, semplicissimi, eppure perfetti.
Rivedere un lunedì dopo un calcetto fuori dalla storia, Miracolo a Le Havre, mi ha fatto tornare in mente la storia degli armadi, la teoria di mio padre. E mi ha fatto ricordare che il mio regista preferito è Kaurismaki. Sarà una scelta poco snob, magari gli ultimi sono un pochino peggio dei precedenti (cose che si dicono, che si devono dire in ogni caso), fatto sta che il mio regista, da un po’ di anni a questa parte, è Kaurismaki.
Qualcuno potrà accusare la sua etica e la mia di essere quella di Sembra questo, sembra quello, di Maria Enrica Agostinelli.
Ma sui tavoli ci sono fiori.
Le cose che ci devono essere.
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