Quando sono arrivato nel grande parco dove si sarebbe svolto il rito, mi hanno accolto due ragazze coi capelli rossi vestite con una tunica bianca. La tunica cadeva sui loro corpi in modo immacolato e la luce estiva sembrava renderle accecanti tra i riflessi degli alberi. Mi hanno aiutato a spogliarmi, offrendomi da bere acqua purissima di montagna corretta con strane erbe violacee, la quale acqua, una volta tolto anche l’ultimo indumento mondano e messomi anche io una tunica bianca e pura, è scesa dolcemente nella mia gola come una cosa fresca e sana.
Se prima di arrivare in quel luogo ero così teso, nervoso e senza dubbio impaurito, l’effeto benifico della fresca acqua corretta mi ha subito fatto sprofondare in una disposizione d’animo piena di pace, attenta a cogliere la bellezza del mondo circostante. Camminando da solo nel vasto parco dove si sarebbe svolto il rito, ho cominciato finalmente a percepire l’incantevole perfezione dei colori e delle forme che questo pianeta ci dona. Il prato su cui passeggiavo scalzo era composto da innumeri fili d’erba la cui superficie ruvida era percepibile filo per filo sotto la mia pianta dei piedi e questa percezione mi riempiva di entusiasmo. Sentivo di amare ogni piccolo pezzo d’erba che entrava in contatto con me e in qualche modo, con la sua punta accuminata, penetrava la mia pelle. A un certo punto ho visto che l’erba passava da parte a parte del mio piede, che ora non era più fatto di carne e ossa, ma di radici.
Quando per caso incrociavo altri partecipanti al rito, ci salutavamo con sorrisi cordiali e pieni di affetto, inclinando lievemente il capo, guardinghi nel non invadere la percezione spaziale dell’altro. Non so come fosse possibile, ma mi sentivo a casa, finalmente in pace con me stesso e con gli altri, con la natura e con la volta del cielo. La realtà esterna a quel luogo, quel mondo civilizzato in cui viviamo, caratterizzato da edifici in cemento e mattoni, lavoro, impegni, smog, relazioni, tutte queste cose mi apparivano ora come un giogo a cui tutti dobbiamo sottostare piegando verso il basso la nostra testa, per cui rimanere in armonia con la natura, sorridente e innamorato, mi sembrava l’unica vera e propria forma di ribellione a cui io potessi partecipare. Nessun computer, nessun film, nessun libro, solo io con me stesso, lui o lei con sé, noi con noi, individui collettivi in attesa del punto cruciale del rito, pieni di amore, rispetto, gioia. Il sole, la luce del giorno, come segreto e chiave per evocarlo. Evocarlo senza che sia possibile vederlo. Lo puoi solo sentire quando entri in una trance collettiva al culmine del rito, appena dopo i sacrifici dovuti. E sai che è lì con te. Non hai bisogno di giustifacare questa consapevolezza esattamente come non è necessario giustificare il calore sulla punta del dito quando lo bruci su una fiamma. Il calore sta in te proprio come Egli arriva nel luogo dove si sta officiando il rito. E tutto ride di felicità.
Midsommar ha questo pregio unico. Per quanto sia una rielaborazione di tante pellicole, come ad esempio di The Wicker Man, strano e a tratti pure buffo horror hippy degli anni settanta, Midsommar coglie in pieno il senso ultimo di una funzione sacra: la gioia, l’amore, il legame con la natura (che per taluni è paganesimo), la catarsi dei propri traumi, lutti, pattern comportamentali, grazie a cui è possibile una splendida trasfigurazione del corpo umano in pura composizione estetica. Dunque più che un horror, di cui comunque conserva alcuni logori stilemi, ci troviamo di fronte ad un film che mette in scena un processo di purificazione. Ci domandiamo solo come il regista Ari Aster possa ricostruire in pellicola riti segreti impunemente.
Rispondi