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In fuga dalla bocciofila

Blog dal titolo fuorviante in cui si parla di cinema tra una divagazione e l'altra

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Manhunt: Unabomber | Manifesto

18 Febbraio 2021 di giovanni ceccanti

Guardo la serie Netflix su Unabomber che parla di come siamo diventati ingranaggi passivi del sistema e della tecnologia e penso.

Penso a cosa penserà Theodore J. Kaczinsky aka Unabomber nella sua cella nel carcere di Florence, Colorado, del fatto di essere diventato il protagonista di una serie Netflix, uno dei massimi spacciatori di intrattenimento prodotti dal sistema; cosa penserà del fatto che la sua storia e il suo manifesto sono adesso parte della stessa pillola-addormenta-coscienze contro cui lui stesso si batteva.

Cosa penserà di me che guardo la sua vita resa un plot, una trama coi cliffhanger, la musica a pompare e la fotografia giusta e penso che ha ragione, è vero, siamo ingranaggi passivi – sono un ingranaggio passivo – del sistema che noi stessi abbiamo costruito.

Penso che le vittime di suicidio in questo istante siano molte di più di quelle causate da lui e dai suoi pacchi bomba in diciotto anni di carriera eppure lui è chiuso in una cella dal ’96 e chi produce psicofarmaci e stila il DSM vive in grandi ville con piscina e parla con la segretaria.

Ma poi penso a quanto sia abborracciata questa sua cosiddetta filosofia rivoluzionaria, quanto sia ingenuo pensare che restare fermi al semaforo rosso anche se non ci sono macchine sia sbagliato e faccia di noi degli ingranaggi, quanto sia ingenuo dare la colpa al sistema che di fatto non esiste, è solo l’estensione su larga scala del nostro bisogno di porre un argine all’individualità altrui, che l’esistenza degli altri sarà sempre un ostacolo alla nostra, in ogni declinazione e in ogni forma di rapporto, da quello coniugale a quello vittima-terrorista.

O almeno lo sarà finché ognuno di noi non avrà fatto a pezzi la propria individualità, la propria ambizione e la propria volontà, cioè finché ognuno di noi non avrà compiuto una rivoluzione intima e silenziosa, senza proclama né manifesti, una rivoluzione non politica ma esistenziale, attraverso la quale avrà capito che il sistema globale cattivo fatto di inganni e pubblicità subliminale non esiste più di quanto non esista in effetti un sistema individuale cattivo fatto di inganni e pubblicità subliminale, un sistema interno a noi stessi.

E penso che la scriverò questa cosa, anzi la sto già scrivendo, e andrò a pubblicarla su internet, quindi la posterò su Facebook, dove non aspetterò i like come se ne andasse della mia vita ma di fatto controllerò spesso, con nonchalance, magari con la scusa di scrollare un po’ a casaccio o di leggere le notizie, controllerò le notifiche e mi incazzerò se non ci saranno abbastanza like e mi esalterò se ce ne saranno molti – solitamente ce ne sono un numero medio, cosicché non sarò né incazzato né esaltato.

E penserò a Theodore J. Kaczinsky, detenuto 04475–046, e alla sua fitta rete di corrispondenze dalla cella cui deve corrispondere una congrua reputazione all’esterno di essa.

Penserò a me e alla mia bolla dove quasi tutti sono liberi pensatori rivoluzionari alla Theodore J. Kaczinsky che postano selfie e autopromozioni del loro manifesto e penserò che “le forme di arte che attraggono gli intellettuali moderni di sinistra tendono a concentrarsi sullo squallore, la sconfitta e la disperazione, oppure assumono un tono orgiastico, abbandonando il controllo razionale, come se non ci fosse alcuna speranza di risolvere ogni cosa attraverso la razionalità e tutto quello che rimane è l’immersione nelle sensazioni del momento”.

Quindi che fare.

Potrei tagliarmi la barba e smetterla di pensare, visto che sto iniziando a citare parti del manifesto di Theodore J. Kaczinsky aka FC (Freedom Club), potrei mettere un altro episodio della serie, immergermi nella sensazione del momento.

Ma suonano alla porta e vado ad aprire, è il corriere Amazon che mi passa un pacco, allora prendo il pacco e saluto il corriere ma lui mi odia, salta sul van e riparte.

Unabomber usava pacchi postali perché così poteva raggiungere tutti, poteva allungare una mano e toccare chiunque, dovunque.

Rientro in casa.

Per vent’anni ha spedito pacchi postali in tutta l’America facendo 3 morti e 23 feriti e vivendo in una casa che è il paradigma stesso della sobrietà, una baracca di legno di 11 mq in mezzo a un bosco del Montana (adesso in un museo di Washington).

Svuoto la mente, devo riuscire a non pensare a niente. Una pecora compiaciuta e sonnambula. Appoggio il pacco sul tavolo, devo immergermi nella sensazione del momento.

Il pacco mi sorride.

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Postato in: Lo sfogone Tag: giovanni ceccanti, manhunt, unabomber Fai un commento

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