Un tempo, trasportare i panni lavati, bagnati, centrifugati dalla lavatrice allo stendino era tutto un lavoro di equilibrismo, un Monte Analogo di calzini, mutandine, di magliette in cotone e di lenzuoli, lavaggi a basse temperature, medie, alte. Era difficile percorrere quel tragitto in fondo breve, due metri, forse meno, che separano i poli della catena del lavaggio (ad accompagnarci il volo delle rondini fuori dalla finestra, il loro girare forsennato, quasi corressero in un velodromo, e le nostre etimologie inventate che ci svegliavano nel mezzo della notte: – Sai, Diana, ho capito da cosa viene la parola rondine: da ronda, fare la ronda, perché questo è ciò che fanno. – Temo sia, la tua, la classica etimologia inventata, dolce caro inventore di etimologie).
Poi arrivò l’era della bacinella azzurra: chi l’avesse portata, chi l’avesse acquistata, se fosse da sempre parte della casa in affitto di cui quest’anno cade il quarto anniversario dal nostro ingresso, se fosse magari prima adibita ad altri scopi, poco importa: d’un tratto comparve quella geniale rimessa in bolla dell’universo. D’un tratto niente più Monte Analogo, niente più equilibrismi, e noi fummo curandaie del Mugnone che portavano veloci tutto da A a B con un gesto elegantissimo, quasi fossero vasi, o anfore sulla testa di donne dalla schiena drittissima in una strada desolata dell’Africa nera (e sempre le rondini fuori dalla finestra in volo forsennato, impazzite per la bassa pressione, senza mai fermarsi, senza mai manifestarsi completamente, solo a volte riaffacciarsi dentro i loro nidi di rami costruiti chissà quando, e dove, in quali anfratti della basilica; oggi dal loro volo risulta evidente che verrà a piovere).
Così quello che un tempo fu impossibile divenne la norma, la bacinella azzurra accompagna il nostro incedere dopo ogni lavatrice, ne definisce il gesto.
Quand’ecco un giorno che Diana è via, a Capri, in viaggio di piacere, scoprire che non c’è più nessuna bacinella, forse lei l’ha portata con sé in vacanza, forse non c’è mai stata? Capire che la lavatrice non è più possibile senza quell’inutile bacinella, che non si torna indietro, che sebbene nella lavatrice ci siano solo quattro asciugamani e quindi almeno per oggi della bacinella azzurra si potrebbe tranquillamente fare a meno, nessuno vorrebbe farne a meno, specialmente io: o bacinella azzurra, dove sei, dove ti hanno cacciato, come potrò svolgere le normali operazioni della mia vita senza di te (e lo sguardo laterale delle rondini fuori dalla finestra che per un secondo si posa sulla mia inettitudine). Come posso, mi chiedo, vivere senza la bacinella azzurra quando tutto a un tratto: la vedo, è al suo posto, dove è sempre stata, nell’armadio vicino allo scaleo. C’era eppure non c’era, e la prendo, e la metto ai piedi della lavatrice che apre la sua vulva e vi lascio scivolare quei tre asciugamani che non richiedevano in realtà niente, non desideravano niente, se non una mano che li afferrasse.
E così arrivo allo stendino quasi fosse un tempio del Sole ed è un attimo, nel solco delle volte precedenti e potenzialmente per sempre, che stendo quei due asciugamani profumati e poi li guardo come rondine conciliata appesi a sventolare impercettibilmente e il mondo ancora e ancora è un posto con una logica dove tutto si tiene: siamo salvi, siete salvi, sono salvo, mormoro all’unico asciugamano steso.
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