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In fuga dalla bocciofila

Blog dal titolo fuorviante in cui si parla di cinema tra una divagazione e l'altra

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Long day’s journey into night | Blocco-notte

29 Giugno 2020 di Leonardo Biancanelli

Avevo lasciato nella tasca di una giacca un blocchetto di appunti con la copertina senape. Ricordavo di averci scritto sopra qualche riga: le impressioni avute – sempre rapide e difficili da fissare come tutte le novità – delle notti torride di Pechino, e durante certi viaggi in taxi. Uno a Baoding che proseguì poi da qualche parte nell’Hebei, in mezzo a grovigli di calce e sacchetti di carta e stipiti sgretolati, lamiere, grappoli di merci organiche, negozi vuoti e negozi pieni: un viaggio che era durato più di tre ore, alla ricerca di un complesso abitativo avanguardistico, e si era concluso senza successo in un ristorante semi deserto in cui ricordo che alternavo a pietanze bollenti e ultra-piccanti, svariati bicchieri di acqua anch’essa bollente; ma ricordo anche che stavo bene e il cibo scendeva che era un piacere nel mio stomaco, dove lo sentivo arrivare per via del calore, ed era anche un piacere vedere il volto sorridente del tassista che, seduto al tavolo accanto a me, alla mia destra, continuava a chiedere altra acqua calda e a offrirmela; alla fine il tassista riportò me, il mio capo e il mio collega, alla stazione dei treni e ci fu una penosa contrattazione per risparmiare qualcosa, ma pochi soldi, di cui provai una vergogna animale, soprattutto dopo aver visto il sorriso con cui, comunque, lui ci salutò.

Un altro viaggio in auto di cui ricordavo di aver scritto qualcosa sul blocchetto color senape fu quello a Zhongchuanzhen, una new town a una settantina di chilometri a nord di Lanzhou, piena di centinaia di gru e cantieri sterminati e brulicanti di operai che si facevano riprendere mentre manovravano escavatori, fumavano sigarette lunghissime, oppure sonnecchiavano all’ombra di una casupola di alluminio con un caschetto giallo in testa e ciabatte nere ai piedi sottili come cartoncino da disegno. Ci fermammo per fare alcune riprese al traffico, ma non c’era troppo via vai, gran parte di quei palazzi, di venti, trenta piani, erano disabitati, scrostati, nelle piazze nuove c’erano già alcune crepe tra i gradini delle scalinate e i corrimano.

A un terzo della giornata si scaricarono due delle tre batterie V Lock delle macchine da presa. Avevo dimenticato nella mia stanza d’albergo a Lanzhou, a un’ora e mezzo di macchina, i cavi di alimentazione per caricarle una seconda volta, così fu un disastro, mandai alle ortiche una giornata di riprese. Quella sera, dopo essermi preso una strigliata che preludeva al fatto che poi avrei perso il lavoro, uscii per fare una passeggiata lungo lo Huáng Hé, e anche di quella passeggiata ricordavo di aver scritto sul blocchetto color senape.

Ma soprattutto ricordavo di aver scritto qualcosa circa una scena di vita familiare avvenuta in mezzo al nulla, in una zona rurale dell’Hebei, durante quel primo viaggio in taxi. Avevo visto un uomo con un completo fermo di fronte a un’utilitaria polverosa; aveva poi aperto lo sportello per la figlia che era uscita con la madre da una casa fatiscente, e la madre ora le porgeva, prima che lei salisse in macchina, un violino nella sua custodia intatta, perfetta, magicamente conservata in mezzo a quel turbinio di scaracchi e piume di pollo. Quello è un violino, pensai lì.

Quindi diciamo pure che desideravo rileggere che cosa avevo scritto; in realtà mi era venuta voglia di rileggere tutto ciò che avevo scritto su quel blocchetto senape, ma andando a frugare tra le tasche di una giacca nera che era quella che avevo portato a Pechino, non lo trovai. Era invece nel mobile in cui tengo le macchine fotografiche, piegato, incastrato dietro un ripiano. Quando lo aprii, non ci vidi scritto niente di tutto quello che ricordavo di averci scritto. Trovai soltanto una pagina scritta: la data 22/05/2019; una descrizione di qualche riga di un sogno che dire strano è poco, che feci la seconda notte a Pechino, e che non riporterò adesso; «non uso questo tacquino da diversi mesi, se non anni»; «sono arrivato ieri»; «ho fatto un giro in alcuni hutong, era sera, i cinesi stavano fuori, per strada, a parlare, a giocare a carte o a dama. Alcuni vecchi si trascinavano stanchi a petto nudo»; «ho dormito quasi subito».

Poi una pagina strappata, anzi due.

Alla fine, quello che ho ritrovato in quel mio blocchetto color senape sono state soltanto le sere, le notti, di quelle strade in Cina.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Postato in: Oceani di autoreferenzialità Tag: Beijing, Bi Gan, Blocco note, China, Kaili, Lanzhou, notte, Promenade, un certain regard Fai un commento

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