Se L’Eco del Nulla fosse un film, sarebbe Amici miei. Un gruppo di amici che dall’esterno sembrano seri ma dall’interno sono un gruppo di bischeri fiorentini che tentano di portare avanti i loro progetti tra una zingarata e l’altra. Sarebbe Amici miei se solo, in realtà, la redazione non fosse nata tutta in provincia – Calenzano, Prato, Campi Bisenzio – e si fosse spostata in città di soppiatto, senza dirlo ad alta voce, vendendo copie ai bordi delle strade, nelle librerie indipendenti, come i farmaci e gioielli rubati all’inizio di Lock & Stock.
«La prima cosa che bisogna fare è dividere chi compra da chi vuole guardare, quelli che di me si voglion fidare da chi non ci vuole neanche provare. E se queste cose non sapete apprezzare, non siete venuti a comprare, ma di certo mi volete derubare. Sono cose nuove, sono cose belle, non hanno mai visto né il sole né le stelle, né le modelle sulle passerelle. Prendete una copia, su, prendete una copia. Prezzo unico, dieci sterle belli».
Ecco sì, se fosse un film L’Eco del Nulla sarebbe Lock & Stock di Guy Ritchie. Più slang, più indipendente, un po’ meno conosciuto e anche, come direbbe Stanis La Rochelle, un po’ meno italiano. Una banda che scommette tutto su una partita truccata senza saperlo, che periodicamente va all-in, perde e ricomincia a giocare. E intorno (e insieme) altre bande di disperati – i tossici, i ladri, i gangster – che in qualche modo cercano di tirare avanti in mezzo a questo casino che è l’editoria indipendente italiana, a colpi di mitra, battute salaci, slow motion, giri di basso fighissimi, pugni in faccia, poker e birre.
E poi, a pensarci, l’universo letterario assomiglia molto al finale del film: un piccolo appartamento incasinato in cui tutti si sparano addosso, ma in qualche modo chi fa squadra abbastanza a lungo rimane in piedi.
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