Una volta un amico architetto di origine tunisina (ediope?) ma trasferitosi in Germania, forse proprio nato in Germania (un amico mio, ediope), mi spiegò il concetto del landmark.
Landmark che potrebbe sembrare parole inglese, è una parola tedesca o forse è propriamente un concetto di architettura. Non so più. Significa, ora ve lo spiego, letteralmente “segna terra”. Significa che c’è qualcosa, che rende un certo punto riconoscibile.
Nell’ultimo film di Gianni Amelio il landmark è Renato Carpentieri. Nome che forse ai preparatissimi lettori della bocciofila farà subito venire l’acquolina in bocca, ma che magari ai più non dirà niente o quasi.
Renato Carpentieri non compare nemmeno nella bruttissima locandina del film di Gianni Amelio dove invece capeggiano un Elio Giormano con occhi spippati e una Mezzogiorno e una Ramazzotti invecchiatissime. Tuttavia Renato Carpentieri è il protagonista del film, protagonista assoluto, non parziale, unica ragione per cui questo film si potrebbe salvare.
Renato Carpentieri per noi bambini nati negli anni ’80, vedendolo risulterà subito familiare: lo conosciamo come le nostre tasche. Cioé in verità non sappiamo nulla di lui, non sappiamo per cominciare come si chiama. Egli, per dire bene, ci è incomprensibile come potrebbe esserlo una torre, kantianamente, come un noumeno, ma se pensiamo al passato, incomprensibile come le basette che la gente portava negli anni ’90, non dico lui in persona, ma la gente che gli recitava affianco e che oggi fa il giurato in qualche concorso televisivo. Renato Carpentieri è un segna terra, e un segna tempo. Segna la nostra infanzia, e se ho detto nostra e suona male, io me ne scuso.
Allego di sotto alcuni fotogrammi per farvi capire, ciao.

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