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In fuga dalla bocciofila

Blog dal titolo fuorviante in cui si parla di cinema tra una divagazione e l'altra

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Joy | Brevetti

2 Febbraio 2016 di giovanni ceccanti

L’argomento brevetti mi sta particolarmente a cuore per vari motivi. Prima di tutto, una persona che abbia inventato o brevettato qualcosa assurge immediatamente all’empireo della mia stima. Non sono sicuro del motivo, certo è che di tutta la prosaica fama che i rami tecnico e ingegneristico si portano dietro l’inventore fa rime e poesia. Possa egli aver inventato le scarpe con lo strappo o i buchi sulla carta igienica, l’inventore ha tutta la mia ammirazione. (Torneremo a breve sulla carta igienica.)

Devo questa fascinazione anche ad un personaggio dalle fattezze di una grossa gallina antropomorfa che mi ha accompagnato per gran parte della mia infanzia – e temo anche dell’adolescenza – di nome Archimede Pitagorico, che forse assocerò per sempre alla figura dell’inventore genialoide.

Sono convinto che un dispositivo, uno strumento o un processo che prima non esisteva e adesso esiste sia in fondo come un romanzo, un quadro o una canzone. Alva Edison in effetti non ha niente di meno di un caparbio sinfonista. L’ingegno di Tesla o di Marconi non invidiano affatto quello espresso nelle avvolgenti trame degli scrittori russi.

L’inventore è la rockstar dei tecnologi: Steve Jobs ne è stato solo l’ultima camaleontica trasformazione. Lo scienziato o il ricercatore spalmano il loro intelletto sulla realtà laddove l’inventore la plasma e la modifica. Lo scienziato è dotato di metodo e di esperienza, l’inventore, dal canto suo, esce di casa in mutande. Cosa c’è di più ancestrale e di giusto che vivere d’invenzioni? Il fuoco è stato scoperto – questo è vero – ma cosa avremmo potuto cucinare sul fuoco se quel tizio strambo non avesse inventato l’arco e le frecce?

Senza scomodare brevetti famosi come il telefono o il motore a scoppio si potrebbe parlare diffusamente della Moka, depositata dal bolognese Bialetti nel ’33 ed esposta in seguito al MoMA di New York.

Si potrebbe parlare delle centinaia di migliaia di persone che smisero di fracassarsi il cranio grazie alla cintura di sicurezza brevettata dalla Volvo nel ’59.

Oppure di quella volta che la fortuna ha aiutato gli audaci (inventori): siamo negli anni novanta e la casa farmaceutica Pfizer sta studiando una soluzione per l’angina pectoris quando uno dei suoi test su cavie umane dà un esito fortemente inaspettato: il signor *****, un innocuo camionista pagato per l’occasione, si alza dalla sedia sterile su cui era stato fatto sedere colto da un’improvvisa quanto fuori luogo erezione di dimensioni epocali. Neanche i blue jeans possono nulla – figuriamoci i tentativi dell’incaricata di riportare la situazione alla normalità. Il Viagra vide la luce di lì a poco, nel ’96, un altro “oltraggio alla morale” esattamente 140 anni dopo Madame Bovary.

Ho conosciuto inventori, in vita mia. Una manciata. Ma chi più di ogni altro ne ha incarnato la figura è stato Fra, il mio coinquilino a Roma. Come Joy Mangano, anche Fra si è autoprodotto il suo primo brevetto e se l’è andato a presentare alle aziende. Come Joy, anche Fra è la dimostrazione che avere un’idea e realizzarla sono due pianeti distanti, molto distanti. E la distanza che sta fra questi due pianeti è forse la misura della mia stima per gli inventori, siano essi gli inventori del mocio o della *******. Sì, perché poi c’è da pagare il brevetto, c’è da difendere la paternità dell’idea, spesso con le unghie e con i denti. E il film parla di tutto questo, della magia insita nella vita di un inventore e del caos burocratico\familiare che essa può scatenare.

Prendete, per concludere, il brevetto US459516 A registrato il 10 giugno 1891 presso Albany, New York, dal signor Seth Wheeler (vagamente alticcio): la sua idea è oggi nelle case di ogni uomo sulla Terra, e di questa moltitudine accarezza ogni giorno le terga. Essa è, nella sua essenziale banalità – una linea di buchi per facilitare lo strappo della carta igienica – pura poesia, e rappresenta forse la sintesi più alta dell’arte inventiva, il paradigma zen del vuoto applicato alla praticità di pulirsi il culo.

Oltre a risolvere l’annoso problema della posizione del rotolo sul portarotolo.

carta igienica2

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Postato in: Oceani di autoreferenzialità, Recensioni Tag: archimede pitagorico, carta igienica, david o. russel, fra, giovanni ceccanti, jennifer lawrence, joy 1 commento

Commenti

  1. Carla says

    9 Dicembre 2018 at 23:41

    Ho appena visto il film “Joy”, che mi è piaciuto molto, e mi ha incuriosito. Così ho cercato altre notizie su questa donna geniale, e mi sono imbattuta in questo scritto, molto gradevole. I miei complimenti

    Rispondi

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