La storia di come Sebastião Salgado inizia la sua carriera di fotografo ha almeno tre affinità con il clinamen epicureo, quell’impercettibile cambio di moto e direzione di atomi in caduta libera che altrimenti non avrebbero deviato mai dal loro andamento prestabilito, diretto verso un punto già noto: il basso.
IL MOTO PRESTABILITO – Mi capita spesso di scuotere interiormente la testa di fronte al comportamento di alcuni individui che hanno un talento innato nello scegliere una dietro l’altra tutte le alternative meno fantasiose con cui si può vivere una vita. In questo caso potrebbe sembrare contraddittorio parlare di talento, ma non riesco a trovare una parola più precisa per comunicare l’idea di un uomo o una donna che sono così spaventati dal compiere una scelta sbagliata che si ritrovano a camminare una strada senza curve pericolose con il rischio di arrivare in fondo senza aver mai nemmeno provato un’emozione.
Per fortuna però ci sono anche persone che hanno la capacità di sfiorare appena la traiettoria funesta del terreno più battuto e che dimostrano la prontezza di spirito di tirarsene fuori alla prima curva, l’uscita di sicurezza che tutti gli altri ignorano perché impegnati a guardare dritto davanti a sé.
Se ci fosse un’olimpiade di camminatori fuori dal selciato Sebastião Salgado sarebbe il portabandiera della squadra brasiliana.
Nel 1967 Salgado si laurea in economia presso l’università di Sao Pãulo, sposandosi subito dopo con la sua compagna Lélia Deluiz Wanick, una giovane pianista brasiliana dai capelli corvini e la pelle olivastra. Insieme si trasferiscono a Parigi – durante quegli anni Salgado completa i suoi studi – e poi a Londra, dove inizia a lavorare per una multinazionale del caffè. In questo periodo Salgado pendola spesso fra Londra e l’Africa per motivi di lavoro.
I mesi di Sebastião vanno avanti così, alternati fra una passeggiata sotto la pioggia sottile di Londra e giorni interminabili sotto i raggi ad essiccare la pelle finché un piccolo soffio non fa deviare la traiettoria lungo la quale si è incamminato nel 1967.
IMPERCETTIBILE CAMBIO DI MOTO – Salgado racconta di come sia stata la moglie Lélia a dargli in prestito la sua Leica, la macchina con cui ha iniziato a fare le prime foto in Africa.
Mi piace immaginare che sia stata lei a nascondergliela in una valigia aperta sul letto, una qualsiasi mattina in cui Salgado prepara la partenza verso l’Africa per un viaggio di lavoro. Mi piace immaginare che il motivo per cui ha compiuto questo gesto sia stato puramente egoistico, il desiderio di vedere che cosa avesse una così straordinaria forza di attrazione da tenere il proprio uomo lontano da lei per mesi. Questa immagine – l’apertura lenta della cerniera per non far sentire il rumore a lui che è in cucina a sorseggiare l’ultimo caffè, quindi il gesto di nascondere la macchina in mezzo alla pila di magliette di cotone – è per me uno dei più affascinanti cambi di moto che la storia di un fotografo di successo (inizialmente destinato a diventare un economista) possa aver avuto la fortuna di avere in sorte.
Ieri sera riflettevo su questo pezzo su Salgado e avendo googolato la parola clinamen mi sono chiesta: che cosa diventano poi due o più atomi che si incontrano fortuitamente? Non avendo a disposizione un filosofo pre-socratico mi sono semplicemente risposta che dal loro incontro nasce qualcosa con tutte le caratteristiche delle due particelle precedenti combinate però in modo tale da avere il meglio da ognuna.
Al termine di uno dei suoi viaggi in Africa Salgado torna a Londra portando nella valigia un paio di rullini con alcune delle foto più belle che avesse mai scattato. In breve lascia il suo posto di lavoro e con i soldi che ha messo da parte decide di comprare l’attrezzatura fotografica che gli è necessaria per avviare una carriera come fotografo freelance. Inizialmente le sue immagini ritraggono la condizione umana, la povertà e le malattie d’Africa, la morte che si annida dietro ogni duna del deserto. Le immagini di bambini con gli occhi più grandi di qualunque altra parte del corpo si replicano sulla carta fotografica, mentre dall’altra parte dell’emisfero Lélia lo aspetta camminando in giro per la città con indosso degli stivaletti colorati con cui deve essere divertente affondare dentro le pozzanghere che si sono formate ai bordi della strada.
NUOVA COMBINAZIONE DI ATOMI – Sebastião Salgado cammina su per la strada di casa con la Leica a tracolla, diretto verso la fazenda di Sebastião Salgado senior, suo padre. A guardarlo da fuori sembra proprio che non abbia dimenticato come un brasiliano si deve muovere in mezzo alla foresta, nonostante Londra e Parigi, nonostante tutti gli anni in cui è stato lontano da casa.
Sebastião junior stringe la destra del padre e prende posto davanti a lui.
Poggia la Leica sul tavolo e inizia raccontandogli di come gli si assottiglia l’occhio quando guarda dentro l’oculare, mentre dietro la curvatura dell’obiettivo uomini, donne e bambini interrompono quello che stanno facendo per offrirgli l’immagine di loro – la stessa che lui gli ha portato nella borsa a far vedere. Sebastião cerca di dire quanta morte ha visto negli ultimi tempi ma non ricorda più quante sono le volte in cui si è inginocchiato per terra a piangere il corpo di un bambino che non ha potuto raggiungere un anno. Il pomo di Sebastião senior sale e scende come un ascensore in gola – non si decide a parlare – mentre il figlio si chiede quanto valga ancora la pena aspettare per immortalare la foto che oggi è nascosta nel cassetto più recondito: l’immagine in bianco e nero del volto di un padre che ascolta la confidenza del figlio.
Giorgia Bernardini
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