Fagiano, Phasianus colchicus
Il capo verde e cangiante penzolava dal ripiano alto del frigorifero. Aveva un piumaggio molto soffice; eppure si vedeva già quanto fosse freddo. La morte lo abitava e aveva gli occhi spalancati. Nel piatto, con il sugo e le olive, bisognava stare attenti ai pallini conficcati nelle carni perché non scheggiassero i denti.
Cane, Canis lupus familiaris
Erano due cagne da pastore tedesco. La prima era pura, si lasciava tirare la coda e salire in groppa; per riposarsi si sdraiava al sole sul prato.
La seconda correva veloce come il vento, aveva il ventre abitato dalle pulci e mangiava avidamente una sbobba di pane raffermo e pezzi manzo, o pollo, di una latta del discount, rimestati insieme in una pentolaccia in cui venivano anche buttati alcuni avanzi. Usava il naso come avanguardia per le carezze. Non le era permesso entrare in casa e aveva paura dei temporali. Morì a quindici anni, con la lingua gonfia fuori dai denti, asfissiata da una vanga e una pala che le incastrarono il torace, tormentata dal panico durante una notte di tempesta.
Scoiattolo rosso, Sciurus vulgaris
Perse la madre e rimase immobile alla base di un cipresso; si lasciò prendere in mano senza troppa difficoltà. Aveva artigli forti che graffiavano la pelle, e muoveva il naso freneticamente. Il pelo era tra il rosso e l’arancio, ed era fragile come una foglia secca, magro e tremolante. Per un attimo approdò a un pianeta oscuro, poi fu rimesso aggrappato al cipresso e sparì là in mezzo, nella chioma verticale.
Cinghiale, Sus scrofa
I grugniti nella notte, l’ombra e il suono degli zoccoli sulla terra. Il cinghiale ti carica al buio, non sai da dove, e tu scappi. È una o sono tanti? È enorme? Così pare dalla terra che trema, dal cuore che accelera, dalla paura che ti strizza le budella. Il cinghiale ci sarà sempre, nel buio, a grugnire e a caricare.
Camoscio, Rupicapra rupicapra
La neve era alta almeno mezzo metro. Dopo un piccolo pendio, in una radura ai piedi di un abete giovane, stava disteso con il ventre lacerato, perfettamente intatto per via della temperatura e con gli occhi spalancati. Avrà avuto poco meno di un anno. Le corna spuntavano appena, dal pelo sulla fronte, e una porzione di pelo bianco gli striava il muso. C’era un sole caldo, immenso, e il cielo era azzurro senza una nuvola.
Lince canadese, Lynx canadensis
Beveva nel fiume, subito dietro una grande ansa, su una porzione di prato che digradava dolcemente nell’acqua. C’era un silenzio, se si può dire, sacro, e nessuno parlava. Le pagaie furono usate e non si sentì nemmeno lo sciabordio della remata.
Alzò la testa e osservò la canoa passarle accanto, lentamente. Così rimase immobile. Le zampe sembravano enormi rispetto alla testa minuscola, ma era soprattutto dagli occhi che pareva essere l’incarnazione di qualche mistero.
Orso nero, Ursus americanus
L’orso nero fa paura, nonostante l’espressione bonaria. Correva lungo la sponda del fiume, quando all’improvviso si tuffò e iniziò a nuotare velocemente verso la canoa. Quella volta le pagaie entrarono e uscirono freneticamente. L’orso nero è un abile nuotatore, ha artigli spessi, e se un colpo di una zampa anteriore basta ad uccidere un cervo adulto, figuriamoci un cristiano.
Oltrepassò la canoa senza problemi, si arrampicò sulla sponda di destra e sparì tra i pioppi.
Biacco, Hierophis virdiflavus
Era molto veloce, ma il terreno era pieno di deviazioni e sassi: si buttava in acqua e poi riemergeva, finché non si infilò sotto un masso incastrato tra una radice di un albero e la terra.
Quando si sente in trappola, il biacco morde, e un morso di un serpente fa sempre un certo effetto.
Dopodiché fu lasciato in pace.
Il biacco è, grazie al cielo, una specie non velenosa.
Stambecco, Capra ibex
Le corna erano due canne immense piene di anelli, che formavano una V da combattimento. Comparve dal nulla sul fronte degli alberi, e stette fermo nella pioggia che cominciava a cadere su tutte le cose, sulle pietre, sul tetto di legno della capanna, sull’erba tenera, sul nostro capo e le nostre spalle. Dopo qualche secondo si voltò ed entrò senza un suono tra gli abeti.
Upupa, Upupa epops
L’upupa plana sul prato portandosi dietro lo sguardo di mia nonna. Fa un verso, hip-hip, che le dà il nome, così saluta. Poi mostra le piume arancioni della cresta. Infila il becco ricurvo nel terreno, lo sonda. E di nuovo saluta con il suo hip-hip. Poi se ne va, ritorna nel regno dei morti.
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