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In fuga dalla bocciofila

Blog dal titolo fuorviante in cui si parla di cinema tra una divagazione e l'altra

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Il cinema nel deserto, una suggestione borgesiana

6 Giugno 2016 di giovanni ceccanti

Nel Sinai c’è un cinema, in mezzo al deserto. Secondo i racconti di chi c’è stato, i rari che avrebbero assistito alle proiezioni – fra mitomani ed egocentrici se ne contano tre, le cui narrazioni coincidono –, la luminosità degli astri non dà il minimo fastidio anche nelle notti di plenilunio e tutte le stelle fermano il loro giro celeste. Le file non sono contrassegnate da lettere o numeri ma ogni sedia porta già il nome di chi vi siederà, per il tempo che serve. Le file sono incalcolabili, forse infinite, e non esiste la prima o l’ultima; così ognuna dista la medesima distanza dallo schermo, colossale ed infinito anch’esso.

Non esiste un depliant o un manifesto dove sia stabilita la programmazione del cinema nel deserto. Ogni pellicola è incerta e ignota fino ad un secondo prima della proiezione e viene fatta sparire il secondo dopo la fine della stessa. Non si danno repliche nel cinema nel deserto. Il proiezionista attinge bendato dall’archivio – infinitamente vario – senza un criterio o una predestinazione. Egli non guarda mai ciò che proietta.

Al cinema, in generale, è possibile scordarsi delle cose da fare come delle cose fatte. Per un attimo si ristabiliscono le priorità, si scopre un ordine e un second’ordine, si è sbadati come nei sogni.

Uno dei tre testimoni delle proiezioni nel cinema nel deserto ha giurato che, in qualunque direzione guardasse, la sala era gremita e centinaia di persone stavano chine nel buio alla ricerca del proprio nome sulle sedie.

Antares, Fulgor, Admiral, Astra, Fiamma, Galaxy, Trianon, Gaudium, Lux, Aurora, Odeon, Apollo, Majestic…

Le coordinate esatte del cinema nel deserto sono tutt’ora sconosciute. Il team di scienziati guidato dal prof. Blumenthal esclude vi si possa giungere dai quattro angoli del mondo, considerati i pendii, l’escursione termica e gli anni concessi ad un uomo.

Secondo una teoria accreditabile al primo testimone, entrando in un piccolo cinema del centro o in un grande multisala di periferia, entrando a Roma o a Los Angeles, a Gibilterra come a Bangkok, si arriverebbe ad uno spazio comune che coincide con il cinema nel deserto. Il testimone è tuttavia considerato inaffidabile dal prof. Blumenthal.

Il concetto di “autorialità” è superato nel cinema nel deserto, né mai, del resto, è stato affrontato. Non si conoscono i nomi dei registi, degli sceneggiatori o degli attori dei film che vengono proiettati. Nell’archivio c’è ogni film e ogni film è stato girato. Il concetto di remake o di reboot fanno sorridere il secondo testimone, quando interrogato sull’argomento.

Ambrosio, Madison, Esedra, Savoy, Sacher, Tibur, Starplex, Eliseo, Massimo, Andromeda, Splendor…

Disse un pomeriggio il terzo testimone: «Mi ricordo le maschere, afasiche e serie in volto, prodighe solo con gli indici di direzioni per tutti. Mi ricordo poi di aver visto una volta, di sfuggita, il proiezionista. O almeno credetti che lo fosse. Aveva la barba grigia e lunga e gli occhi celati sotto una nera fascia di seta. Sorrideva; prendeva un film con una mano e lo metteva nel proiettore, naturalmente, quindi con l’altra se ne liberava per sempre. Non era possibile alzarsi, tali e tante erano le trame. Io fuggii durante uno dei pochi intervalli millesimali […]»

C’è un film che viene dato a cadenza regolare, ogni sei milioni di anni. La sua sceneggiatura è l’insieme di tutte le sceneggiature e ci recitano dentro tutti gli attori; in esso si svolgono tutte le trame.

Al cinema – ricordava qualcuno – pare d’esserci da sempre e per sempre rimanervi.

Al cinema – questa una delle poche certezze – si è al sicuro da occhi indiscreti, anche dai propri.

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Postato in: Anatomia di un fotogramma, La scena tagliata Tag: cinema, giovanni ceccanti, jorge luis borges Fai un commento

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