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High Life | J. H. Kellan, uomo di ingegno ed educazione

18 Marzo 2021 di Leonardo Biancanelli

John Herbert Kellan fu alzato per le ascelle nella luce scarlatta di un sole largo e opulento che gli riempiva gli occhi mentre lo strattonavano.

Lo trainarono disegnando con i suoi talloni due binari nella terra rossa di Norfolk Island: sapeva che lo portavano a morire, ma si diceva che almeno sarebbe accaduto in riva al mare, che avrebbe potuto gustare ancora il sapore delle alghe prima di accogliere l’acqua nei polmoni. Non si può dire che fosse un sogno comune tra i marinai quello di respirare acqua invece che aria, ed era un sogno adolescente, ma J. H. Kellan all’età di quarantuno anni ne aveva ancora diciotto, o forse già a diciotto ne aveva quarantuno; ma, quarantuno o diciotto, dalla condanna a morte pronunciata all’Old Bailey alla condanna a morte eseguita sull’isola di Norfolk, trascorsero trentatré anni, come quelli di Gesù Cristo nostro Signore, anni in cui J. H. Kellan rimase sempre lo stesso, vale a dire non mutò di spirito, nemmeno dopo le cinquanta frustate dategli sul culo per aver disobbedito agli ordini del maggiore Moss. Non mutò di spirito nemmeno dopo essere stato un anno intero a bordo della Scarborough accanto al suo giovane amico Toozo che di frustate ne avrebbe prese cinquecento per negligenza nel lavoro, e poi trecento sempre per aver disertato il lavoro, e ancora altre cento per essere scappato nella macchia australiana e poi altre cento ancora per aver disubbidito agli ordini. Joseph Toozo, la cui condanna a morte fu anch’essa commutata in esilio in Australia nel 1787, aveva meno paura di pestare un common brown snake mentre filava nel vento, o delle frustate del maggiore Moss che arrivavano a multipli di cento, che dei lavori forzati.

Appoggiati al parapetto della Scarborough diretta in Australia, Joseph Toozo e John Herbert Kellan si erano detti che non avrebbero lavorato nemmeno un secondo per la corona, che fosse stato in Nuova Scozia, in Australia, o a Norfolk Island, ma piuttosto avrebbero accolto le flessibili braccia dell’inferno sulla loro schiena. Erano due ladri, due ladri semplici, ma non era la semplicità una caratteristica degli uomini grandi, così come di quelli piccoli?

Herbert Kellan, secondo il maggiore Robert Moss, era un uomo pieno d’ingegno e di educazione, e chiunque lo avrebbe potuto capire dalla sua firma che era abbastanza leggibile da essere riconosciuta, ma indecifrabile in buona misura da non essere riprodotta facilmente.

Ma semplicità, grandezza, e ingegno di John Herbert Kellan si manifestarono nell’ora estrema, in mezzo al Pacifico, con un sole opulento e scarlatto che aveva insanguinato l’isola di Norfolk e il mare; in particolare, nelle sue parole che furono: «Annegatemi, se mi tenete un minimo in conto, e non appendetemi a una cazzo di palma». 

I membri del night watch lo osservarono entrare in acqua e sparire tra i flutti e Joseph Toozo seppe che il marinaio era approdato al proprio sogno.

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Postato in: La scena tagliata, La sindrome del personaggio secondario Tag: Buchi neri, Ergastolani, fantascienza, High Life, Neonati, Robert Pattinson, Spazio Fai un commento

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