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In fuga dalla bocciofila

Blog dal titolo fuorviante in cui si parla di cinema tra una divagazione e l'altra

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Green Book | Cara Dolores

5 Febbraio 2019 di Salvatore Cherchi

Cara Dolores,

mi scuserai se queste lettere suonano sempre banali e noiose, ma la bellezza dell’Europa è troppo grande e profonda per riuscire a esprimerla con le mie parole.

Due giorni fa abbiamo lasciato Vienna, una città dove tutti, per strada, nei locali e nei parchi, fumano e bevono birra. Non spaventarti, non è come il Bronx, la gente è tranquilla e silenziosa e tutto è pulito e ordinato, ti piacerebbe molto, non come al dott. Shirley, che continua a dirmi di non farmi ingannare dalle apparenze, che pulito fuori non vuol dire pulito dentro. Credo che l’Austria non gli sia piaciuta. A me sì. Sai come fanno gli hot dog qui? Invece che tagliare il pane in due, lo bucano e ci infilano dentro il wurstel. Poi fanno delle cotolette di vitello fritte da far impallidire il pollo di Kentucky Fried.

La tappa successiva è stata Milano, e non credevo di essere in Italia. Il dott. Shirley mi ha detto che Milano in passato è stata dominata dai francesi e dagli austriaci (anche qui fanno la cotoletta di vitello fritta), forse per quello è diversa dall’Italia che ci raccontavano i nostri nonni.

Proseguendo, il dott. Shirley ha voluto ripercorrere alcune strade fatte da Hemingway, così da Milano siamo scesi verso Genova e da lì abbiamo costeggiato la Liguria e la Toscana, sino ad arrivare a Livorno, la città di Modigliani, un pittore che piace molto al dott. Shirley. Lo conoscevi? Io no, ma credo non ci possa esser quadro più bello alla vista delle cave di granito che si impennano davanti alla distesa azzurra del mar Ligure.

La Toscana era come l’immaginavamo, tutta colline, cipressi e vigneti. Firenze invece è così piccola che le macchine e le persone sembrano non starci dentro, bloccano le strade, riempiono le piazze, affollano le osterie e i palazzi.

Ora siamo a Roma. Pensare una frase per descrivere questa città mi provoca le vertigini, perché al contrario di Firenze e Milano, qui la vista si perde e l’ordine non esiste. Non saprei da dove iniziare.

Potrei chiedere al dott. Shirley, ma non voglio svegliarlo. A cena mi stava raccontando la storia della città, la sua grandezza e lo spessore culturale che conserva, poi ha bevuto e si è intristito. Ha iniziato a blaterare di perdita di valori, di decadenza, cose così, allora mi son sbronzato anche io per non sentirlo.

Da quando siamo in Europa ha ripreso a bere e prendersi sul serio. Ho il timore che non sia felice. Eppure qui è tutto bellissimo e si mangia benissimo. Le persone che incontriamo sono ospitali, colte, e fanno sentire il dott. Shirley una persona rispettata e ben voluta, non solo per il suo talento.

Lui comunque si comporta in maniera strana. Sempre composto, elegante e discreto, ma con un occhio e un orecchio tesi, pronto a cogliere allusioni e commenti, dice lui, fuori posto, come dovesse cercare una nota stonata nell’armonia dei lunghi discorsi da salotto che si fanno prima e dopo ogni concerto.

Sa parlare bene l’italiano, io l’ho dimenticato, faccio fatica a stargli dietro e capire a cosa si riferisce. E anche seguire la tv, la radio e i giornali, come lui fa quotidianamente, è impossibile, oltre che noioso.

Dopo la cena e una bottiglia di grappa, ha delirato. Ha detto di essere stanco di sentire l’odio intasare l’aria e di essere deluso dal non vedere nessuno capace di proporre alternative. Ha detto di essere disgustato dall’imbarbarimento culturale e di sentirsi in collera davanti all’arroganza delle parole e delle pose. Ha detto che dobbiamo stare in guardia, perché il passato non è un fantasma, e smettere di crederci non farà sì che non torni.

Di cosa parlava, Dolores? io non ci ho capito nulla. Mi sembra di rivedere in lui la stessa rabbia oppressa dietro un muro di dignità, di quando siamo andati in tour nel profondo Sud.

Non mi piace quando si comporta così. Forse devo farlo smettere di bere.

Comunque l’Europa è un posto bellissimo, e l’Italia ancora di più.

Ti ci porterò un giorno.

Ti amo,

Tony.

 

PS: dà un bacio ai bambini

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Postato in: Anatomia di un fotogramma, La scena tagliata, La sindrome del personaggio secondario Tag: Donald Shirley, Green Book, Mahershala Ali, Peter Farrelly, Tony Lip, Tony Vallelonga, Viggo Mortensen Fai un commento

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