1. Promesse
Un cielo minaccioso, come ogni soffitto pericolante, è la promessa di una catastrofe imminente. O almeno così ci suggerisce un certo istinto di conservazione, insieme al fatto di essere cresciuti lontani dai tropici. A Lampedusa forse a volte c’è anche il sole, ma Rosi ci mostra solo nuvole gonfie che si tuffano una nell’altra a tutta velocità e un vento fortissimo che soffia in continuazione, come se prima o poi dovesse portarsi via l’isola intera. Attraverso lo schermo, si riesce a sentire l’odore della pioggia.
2. No hay banda
Durante buona parte del film ho pensato soltanto che se quello non poteva essere un film era perché il regista non sapeva cosa pensare di tutta la faccenda dei migranti, dell’isola di Lampedusa, e in generale delle cose che succedono intorno a lui. Che se non c’era una “storia” era per questo: perché una storia comporta necessariamente un’interpretazione, una morale, una spiegazione, ma Rosi questa spiegazione non ce l’ha (come non ce l’ha nessuno).
3. Scricchiolii
Le coperte termiche scricchiolano come carta argentata, cosa che poi sembrano anche. Non danno per niente l’impressione di tenere caldo, ma lo tengono eccome, l’ho realizzato con stupore l’unica volta che mi è capitato di averne una addosso. Pioveva, era dicembre, ero bagnata fradicia, ma stranamente non avevo freddo, avvolta in quella specie di domopak natalizio. Mi chiedo cosa pensino i passeggeri dei barconi quando, in segno di benvenuto, si vedono consegnare questi oggetti dalle qualità così poco ovvie.
4. Finirà/Non finirà
Verso la fine del film ti rendi conto che il film sta per finire: non è solo il fatto che senti fuori dalla sala la gente che rumoreggia e aspetta per lo spettacolo dopo, è qualcos’altro. Capisci che il film sta per finire, e il regista propone in successione due o tre scene che sono tutte potenziali conclusioni del film. Ogni volta però non lo finisce il film, ma rimanda. Anche in questa scelta è possibile leggervi la precisa volontà del regista di non fare un film con una storia nel senso canonico.
5. Fotogrammi
Ma come hai fatto, Gianfranco, a fare quelle riprese. E mentre te lo chiedo lo so che in qualche modo ci si può salire, sulle lance di salvataggio che prendono il mare. Lo so che poi ci vuole un po’ di stomaco, una telecamera leggera e un progetto chiaro. Sono tristissimi i visi degli sbarcati, ancora increduli, sui gommoni della guardia costiera. La differenza tra me – che sono il tuo pubblico – e te – il regista – è che io non riuscirei mai a sostenere quegli sguardi senza l’infinita distanza del cinema a proteggermi.
6. Patriottismo cinematografico
Mi sono sentito un deficiente quando mia madre mi ha scritto un messaggino per dirmi: il film che sei andato a vedere ha appena vinto a Berlino. Mi sono sentito così fiero, così stupidamente fiero di essere italiano, che in confronto quando l’Italia ha vinto il mondiale proprio per nulla, anzi meno di nulla.
7. Herzog
La scena iniziale, con la registrazione della chiamata di aiuto contrapposta alla torretta di controllo che rimane immobile e tranquilla nella notte, mi ha fatto pensare alla sequenza di Grizzly Man in cui Werner Herzog, invece di far ascoltare al pubblico la registrazione dell’attacco omicida di un orso contro una coppia, filma se stesso che l’ascolta in cuffia. Herzog poteva inserire nel suo film le urla di due persone morenti, ma non lo fa; Rosi invece ci fa sentire il panico, le suppliche, mentre intorno regna la calma. Sembrano scelte diametralmente opposte, eppure esiste in entrambe quella certa forma di sobrietà in cui il documentario trova il suo valore più alto.
8. Epopea
C’è una parte del film, non dico quando i migranti giocano a calcio che mi sembra di una bellezza da piangere, dico quando il tipo di colore reppa la loro storia, dell’attraversamento del deserto, della prigione in Libia, e dopo del mare. Io ho pensato all’inizio di quella parte che la storia fosse falsa: nel senso esagerata. Poi dopo ho capito che era semplicemente l’epopea.
9. Infanzia
Deve essere bello, comunque, essere bambini su di un’isola. Spaccare le pale dei fichi d’india con la fionda e poi rimetterle insieme con lo scotch. Uscire sulle scogliere di notte, girare in tondo in motorino, parlare come gli adulti già molto prima di esserlo, solo perché non c’è in giro molto altro da imitare. E tutta la vita sta lì, protetta dall’infinita liberà di un orizzonte limitato.
10. Generazioni
Se una connessione la si vuol trovare, tra la storia del bambino e quella dei migranti, sta nel titolo: il “fuocoammare” che i nonni vedevano durante la guerra è lo stesso che oggi vedono i migranti. La prima generazione diventerà faticosamente terza generazione anziana, una volta tornata dal mare (sopravvivere, invecchiare, morire). Alle seconde generazioni il compito di mettere la musica in radio e fare raccordo tra le scene (il regista Rosi), alle terze generazioni quella di essere inutili e meravigliosi, di avere occhi pigri, di essere dodicenni per sempre (noi).
.
Appunti per una recensione è stato scritto da Francesca Corpaci e Simone Lisi
Rispondi