È il 1948, di novembre. Mia nonna si siede in prima fila al cinema “Savoia”, la sala è gremita per l’attesissima proiezione del film Via col vento, storia che lei conosce già a memoria perché ha letto il libro e ha pianto alla fine. Tutti fumano nella splendida sala festonata per l’occasione. È previsto un intervallo: il film si preannuncia lungo.
In ultima fila, in alto, ci sono io, nel 2015. Il cinema, che adesso si chiama “Odeon”, è ugualmente tutto esaurito ma le persone sono più composte e silenziose. Si proietta un film russo che parla del Louvre, di Parigi, delle guerre e dell’arte.
Le guerre si fanno per l’arte, dice Napoleone. E per cos’altro?
Le ultime notizie dicono che la Francia si è alleata con la Russia e insieme hanno dichiarato guerra allo Stato Islamico, il peggiore degli stati canaglia, in seguito agli attacchi terroristici nella capitale francese e all’abbattimento di un aereo russo sul monte Sinai.
Mia nonna si aggiusta i riccioli. Qualche anno prima le era capitato di stare parecchi passi dietro a due soldati nazisti, di avere paura di superarli e di restare sgomenta di fronte alla nera lucentezza dei loro stivali. Hitler aveva dato precise istruzioni perché i suoi soldati non rovinassero le opere d’arte, una sorta di decalogo. Ponte Vecchio, fra le altre cose, era stato risparmiato.
Dicono i giornalisti che in effetti non si tratta di un gruppo terrorista vero e proprio (come poteva essere Al Qaeda), qua si parla piuttosto di territori occupati, della costruzione d’infrastrutture e di un esercito fatto almeno di trentamila uomini. I bombardamenti sulla capitale del califfato Raqqa lasciano immaginare che la situazione si possa inasprire, che gli attentati si espanderanno come olio in tutta Europa.
La distruzione di Palmira da parte dei jihadisti, le statue assire al Louvre.
Zitto zitto il vicedirettore del museo Jaujard ha spostato tutte le opere da un castello all’altro, tipo la Monna Lisa, la Nike di Samotracia, nottetempo, per salvarle dalle grinfie di Göring, Goebbels e compagnia bella.
Il notiziario prima del film dice che si è appena costituito il comitato per la ricostruzione di Ponte Santa Trinita e che il presidente onorario del suddetto comitato sarà lo storico Berenson. Si è anche stabilito che a 12 km da Firenze, sulla via Cassia, sorgerà il cimitero dei soldati americani morti durante la seconda guerra mondiale.
C’è anche chi parla di una terza guerra mondiale, già in atto. Mia nonna gira un attimo la testa.
Abbiamo tutti un po’ di brividi quando nel film di Sokurov c’è un quadro di Hubert che mostra la galleria del Louvre in rovina, con i soffitti sfondati e le piante a invaderla. È pura fantasia, no?, dice la voce fuori campo del regista.
Poi si esce e si va a bere un amaro alle Giubbe Rosse. Mia nonna parla con le sue amiche dello Scià di Persia in visita a Firenze e della bellezza assurda di Clark Gable. Dicono: che bella la frase finale: domani è un altro giorno, mentre noi si parla del film russo, di quale sia il suo significato più recondito, l’Europa, quella nave alla deriva, e uscendo non possiamo fare a meno di lamentarci dei dehor e dei tavolini messi a norma, greve segno della modernità.
Cosa sarebbe la Francia senza il Louvre? Cosa sarebbero gli uomini senza i musei?
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