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In fuga dalla bocciofila

Blog dal titolo fuorviante in cui si parla di cinema tra una divagazione e l'altra

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First Man – Il primo uomo | Apelle figlio d’Apollo

3 Dicembre 2018 di Leonardo Biancanelli

Aveva perso la strada e aveva perso molte delle cose che aveva fortunatamente trovato nella propria vita; sentiva il terreno lentamente sgretolarsi sotto le piante dei piedi e sotto i quadrati di gomma delle suole delle sue scarpe che non si volevano fermare, nonostante la strada fosse lontana e nascosta dietro a cumuli di sabbia e polvere. I piedi non si volevano fermare, mentre il groppo che aveva in gola s’induriva e iniziava un’apnea che lo avrebbe portato certamente a soffocare, o a perdere conoscenza; si rendeva conto che non poteva essere lui a dare ai polmoni l’impulso necessario affinché si svuotassero e riempissero nuovamente; l’impulso necessario a dare aria alla mente e al cuore. Avrebbe dovuto affidarsi a qualcun altro, ma a questo magnifico essere umano lui non aveva dato nemmeno un briciolo di fiducia. Qualcosa aveva strappato le radici ancora tenere che erano sbucate dai suoi polpastrelli e dalle estremità dei suoi pensieri, e che stavano appena iniziando ad aggrapparsi alla terra; avrebbe voluto tagliarsi fuori dal mondo, spiccare il volo per sentire l’aria, e vedere e toccare un nuovo mondo vuoto.

 

E Dio per questo fa ch’egli va folle,

     E mostra nudo il ventre, il petto e il fianco;

     E l’intelletto sì gli offusca e tolle,

     Che non può altrui conoscere, e sé manco.

     A questa guisa si legge che volle

     Nabuccodonosor Dio punir anco,

     Che sette anni il mandò il furor pieno,

     Sì che, qual bue, pasceva l’erba e il fieno.

 

Ma perch’assai minor del paladino,

     Che di Nabucco, è stato pur l’eccesso,

     Sol di tre mesi dal voler divino

     A purgar questo error termine è messo.

     Né ad altro effetto per tanto camino

     Salir qua su t’ha il Redentor concesso,

     Se non perché da noi modo tu apprenda,

     Come ad Orlando il suo senno si renda.

 

Gli è ver che ti bisogna altro viaggio

     Far meco, e tutta abbandonar la terra.

     Nel cerchio de la luna a menar t’aggio,

     Che dei pianeti a noi più prossima erra,

     Perché la medicina che può saggio

     Rendere Orlando, là dentro si serra.

     Come la luna questa notte sia

     Sopra noi giunta, ci porremo in via.

 

Non era vero, purtroppo. La medicina non c’era. L’apnea non sarebbe cessata. La ricerca di quel mondo nuovo si è rivelata un affanno troppo impegnativo, una distrazione, oppure una scusa per non fidarsi. Il progresso non gli ha reso nemmeno un ricciolo biondo. La luna non aveva né mani, né bocca, né occhi, né nervi: non era caldo, non era freddo, non si sentiva niente.

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Postato in: La sindrome del personaggio secondario, Lo sfogone Tag: Apollo 11, Chazelle, First Man, Luna, Un grande passo, Un piccolo passo Fai un commento

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