Il letto del neonato è bloccato a terra in una cella piccola e stretta. Questa cella angusta si trova all’interno di un’altra cella non molto più grande che può contenere un numero di persone considerabile un nucleo familiare, e le cui chiavi – di questa cella, chiamiamola pure familiare – sono tenute dai genitori del neonato; e sono tenute ben strette, il più possibile al sicuro. Non è strano che i detenuti possiedano le chiavi della propria cella?
È perché fuori dalla cella angusta – chiamiamola pure individuale –, e poi da quella familiare, si accalcano molte persone: si muovono e si danno da fare per sopravvivere e commerciare; si incontrano e scontrano; alle volte si uccidono; come si suol dire, fanno di tutto per tirare avanti. Questa terza cella – può essere chiamata cella mondo – è comune a tutti e tanto vasta che non sembra avere limiti; in sé ha moltissime altre celle familiari, simili a quella dei genitori del neonato e a quella del neonato stesso che crescerà, un giorno, e desidererà uscire e non vedere più sbarre.
Per prima cosa, della più o meno piccola cella familiare, si farà dare le chiavi dai genitori. Poi dovrà far sì che gli uomini che tengono chiusa l’altra, la cella mondo, gli consegnino le chiavi per uscirne; sarà un gran cercare per trovare i pochi che le tengono: rarissimi sono quelli che le donano con gioia; gli altri le celano: le infilano nelle tasche più profonde; le nascondono all’interno di grossi volumi da cui hanno tagliato via la parte centrale dei fogli; le nascondono sotto il materasso della più piccola cella di svariate celle familiari, come in scatole cinesi, e mettono guardiani avidi alle porte di ciascuna di esse.
I pochi uomini che sono riusciti, nel tempo, a ottenere tutte le chiavi, e che sono poi rientrati, spesso aiutano, ma può capitare che ostacolino la ricerca, perché seminano dubbi e parlano cripticamente. Come gli oracoli, rischiano di essere utili solamente a coloro che già conoscono il futuro.
A quel punto, quando il neonato, ormai non più neonato, avrà trovato le chiavi, uscirà fuori. E abituato come sarà alle sbarre, andrà in lungo e in largo in cerca dell’ennesima porta da aprire, senza trovarla. Non ci saranno più porte, né sbarre.
S’insinuerà allora in lui, o in lei, lentamente, l’idea che la prigione sia stata costruita in un tempo remoto per necessità e che, compresone il funzionamento, sia stata successivamente mantenuta in funzione per pigrizia. O più per paura.
«Si ma non hanno paura di voi, hanno paura di quello che voi rappresentate.»
«Ma quando…?! Per loro noi siamo solo della gente che ha bisogno di tagliarsi i capelli.»
«Ah no… Quello che voi rappresentate per loro, è la libertà.»
«Che c’è di male nella libertà? La libertà è tutto.»
«Ah sì, è vero, la libertà è tutto, d’accordo… Ma parlare di libertà ed essere liberi sono due cose diverse. Voglio dire che è difficile essere liberi quando ti comprano e ti vendono al mercato. E bada… non dire mai a nessuno che non è libero, perché allora quello si darà un gran da fare a uccidere, a massacrare, per dimostrarti che lo è. Ah, certo, ti parlano, e ti parlano, e ti riparlano di questa famosa libertà individuale; ma quando vedono un individuo veramente libero, allora hanno paura.»
«Eh… la paura però non li fa scappare!»
«No, ma li rende pericolosi.»¹
Al di fuori delle celle ci sono batteri e malattie, bestie feroci e terremoti e scoppi e ghiaccio e fuoco; ci sono la fame, la sete, la fatica; e la siccità e il dolore. Ma nello stato di necessità non c’è crudeltà o peccato.
Inizierà a parlare a se stesso, o a se stessa; a confondere il proprio pensiero con la propria voce. Penserà di essersi addormentato nella cella più piccola, quella in cui era neonato, e di aver sognato fino ad allora. Di averlo solamente sognato, quel percorso oltre la serie di sbarre.
Quando tornerà nella cella più grande per raccontare qualsiasi cosa fosse quel viaggio, sogno o libertà, e trovare il calore degli uomini, questi lo guarderanno con aria interrogativa, staranno per un attimo in silenzio e se tutto andrà bene, se non saranno atterriti o indispettiti dalle sue parole, lo lasceranno lì fermo, in piedi, immobile e solo; mentre se tutto andrà per il peggio, lo aggrediranno e lo uccideranno.
Lei, o lui, dovrà scegliere. Sentirà il desiderio di uscire, e poi, una volta fuori, di tornare dentro. Anche se il pericolo è ovunque: negli anfratti delle grotte, nelle notti fredde e buie, nei laghi e nei fiumi; come anche nelle doppie canne dei fucili, negli ordini dei padroni, nella mancanza di denaro, di considerazione, nel terrore di un rifiuto, nelle risate di scherno; il pericolo è fuori ed è dentro.
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¹ Dialogo dal film Easy Rider – Libertà e paura, 1969.
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