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In fuga dalla bocciofila

Blog dal titolo fuorviante in cui si parla di cinema tra una divagazione e l'altra

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Dunkirk | Estate senza fine

7 Settembre 2017 di simone lisi

Un giorno

Alla fine di settembre, il clima mite e le temperature ben al di sopra della media stagionale hanno predisposto al buon umore le persone di questa città.
Il rientro a lavoro, le ferie successive lontanissime.
Ancora nel mese di ottobre abbiamo continuato ad andare al mare. La stagione si è semplicemente spostata, dicono al bar la mattina. Quello che era l’autunno adesso è l’estate, tutto è scalato di un posto. È già è accaduto nei secoli precedenti e comunque lo vuoi proprio sapere: chi se ne frega.


A novembre abbiamo continuato a fare i nostri fine settimana al mare, le file in superstrada di domenica sera. Quest’ansia è dovuta al fatto che domani è lunedì, ci siamo detti.
Poi a dicembre abbiamo cominciato a preoccuparci davvero. Le vie del centro addobbate con festoni e luminarie e ancora la gente, non i turisti americani, con infradito e pantaloni corti. Questo è stato l’ultima fine estate di cui ricordiamo, c’è stato un giorno a settembre che sembrava arrivasse l’autunno, poi, più niente.

Due mesi

In piedi sull’apparente pontile, io te altra gente, come fosse la cena di un tempo.
In piedi su quella che una volta dev’essere stato una linea di palazzi, vista colline, oggi lambite dal mare. Ci siamo messi ad aspettare niente. I particolari erano tutti estremamente definiti. Potevamo da un lato osservare tutti i minuscoli particolari, le perle di sudore sui colli di cigno delle persone davanti a noi, che si tendevano come se piastre di metallo fossero sotto la sottile epidermide, sforzandosi di guardare l’orizzonte. Guardavamo l’acqua che saliva, cercavamo navi che si avvicinavano. L’acqua cingeva i palazzi, il paese dell’infanzia era tutto cambiato. Lasciate la case di città, ci eravamo trasferiti in quella campagna dove non volevamo mai andare, né da bambini, né da adolescenti (mai e poi mai da adolescenti) neppure da adulti. Quella casa in Maremma in cui pensavamo a una vecchiaia da scrittori isolati, luminari, lontani dai bisogni e dai desideri terreni. Chi poteva sospettare sarebbero diventate località marittime? Noi non avevamo fatto in tempo a diventare scrittori famosi e quei desideri erano ancora tutti là.

Tre anni

L’acqua ha continuato a salire, ogni anno di più. L’estate non è mai finita. La stagione in cui le donne sono più belle è settembre, dopo l’estate, quando cominciano a perdere l’abbronzatura. Vanno a lavoro al mattino con una bellezza che poi all’ora di pranzo non hanno già più. Portano i figli ai giardini come fosse tutto normale. Settembre è il mese in cui le donne sono più belle. Questo adesso è diventato semplicemente: la normalità. Un paese finito, le città sono sommerse e noi ancora qui a pensare a piccole cose, il nostro rapporto di coppia, è questo amore, desiderio o bisogno? Abbiamo lasciato le case in campagna, la Maremma sommersa, e siamo partiti per la Val D’Aosta, in quella casa che fu dei suoi nonni materni. Ma presto dovremo lasciare.
Che ne sarà di noi?
Perché la marina militare, il fiore all’occhiello dell’esercito non si cura di noi?
Io mi sento ovattato, dev’essere il Lexotan. I particolari si fanno soffusi, i particolari non servono a niente. È una storia di nonni, una morale di nonni, la vita è diventata una sorta di Titanic con una musica inquietante di sottofondo. Non c’è spessore in questa nostra esistenza braccata dall’acqua, sconvolta dal caldo, ipnotizzata nei ventilatori. Non c’è profondità. I particolari: sono belli, ma inutili. Sulla piccola terrazza della casa in Val d’Aosta penso che sia finita. Finisce come era iniziata. Penso a un racconto, la storia di uno che ha continuamente qualcosa nel naso.
E quindi?, mi dici.
Sempre qualcosa nel naso, rispondo.
Questo è il mio testamento, il mio ultimo racconto, non è niente di che. Poi da in fondo alla baia abbiamo visto riflessi, bagliori, legni smaltati, boccaporti lucidati. Erano le barche a vela dei nostri amici più ricchi arrivare dal mare. Ci vengono a prendere! hai urlato col tuo modo che hai tu di chiamare le cose. Cosa vedi? ti ho chiesto che ero intento a far gocciolare le gocce della mia medicina.
Forse i lieto fine non si accordano con i nostri psicofarmaci.

 

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