Avete presente una settimana da Dio, che sostanzialmente parla del fatto che tutti vorrebbero essere dio almeno per una settimana, fosse anche solo per ingrandire le tette della propria ragazza, o per diventare un riccone con la macchina sportiva, voglio dire, chi è che non vorrebbe incontrare Morgan Freeman vestito da gelataio che vi fa camminare sulle acque e vi dice che per una settimana sarete voi a decidere del destino delle persone sulla terra, e in culo il libero arbitrio.
Io non so cosa farei se fossi Dio per una settimana, alla fine diventare dei ricconi è pressoché banale, i beni primari sono altri, vorrei forse diventare come una di quelle secche di merda che mangiano come delle sfondate e poi non ingrassano, per cui diventano super top model che vanno da Vespa a parlare di alimentazione dicendo che loro ‘mangiano soprattutto pasta’, non ‘anche pasta’, ‘soprattutto pasta’. Ecco forse se fossi Dio per una settimana vorrei mangiare senza dovermi mettere a piangere ogni volta che passa in tv la pubblicità di ‘Giorno&Notte’ perché mi riconosco in Pamela, che nella foto a due mesi dalla cura, il massimo che riesce a fare è tenere la pancia in dentro. Ma parliamoci chiaro, forse dovrei volere di più, dovrei volere il bene di questo pianeta, che ruota intorno ad un equilibrio squilibrato, che vede su un piatto della bilancia un 90% di popolazione strafatta di qualsiasi cosa contro un 10% di morti viventi, un 98% di superficie ricoperta da acque e un 2% di terra, un po’ come diceva Vulvia ‘Che culo essere nati sull’unico 2% di terra’. Ma alla fine più che voler essere Dio, penso che succeda spesso che uno ci si ritrovi con quell’etichetta appiccicata addosso, o che quanto meno se la sente inflitta dalle altre persone per un recondito senso di responsabilità che viene usato generalmente dalle persone per trovare una giustificazione alla propria ansia, alla propria mancanza di tempo, alla propria non voglia; come il protagonista di Dio esiste e vive a Bruxelles. Un uomo di mezza età, con i piedi incastrati nelle pantofole, chiuso in casa con la moglie un po’ scema che non ama, una figlia di dieci anni che lo detesta, e suo figlio, che giustappunto si chiama Gesù, anzi ‘JC’ (Jesus Christ), che se ne è andato di casa per predicare il bene, fare il fricchettone, diffondendo la sua parola, e che poi è stato ucciso per questo, ma col quale la bambina, Ea, riesce a comunicare, perché essendo Gesù, prende vita animando le statuette che lo rappresentano. Ma comunque, chi è che non si ritrova in un quadretto domestico simile, fatto di frustrazione, insofferenza verso i cari e necessità di vivere rinchiusi in una stanza piena di cassetti con i dati di tutte le persone che popolano inermi questo pianeta in scadenza, potendoli poi mettere quotidianamente alla prova con la sfiga.
La figlia decide di evadere dall’appartamento, utilizzando come via di fuga l’oblò della lavatrice, che personalmente adesso guardo con speranzoso sospetto. Prima di farlo invia a tutti un SMS con scritto quanto resta ad ognuno da vivere, e lì altro quesito, vorreste saperla la vostra data di morte? O preferireste aspettare che un autobus vi investa mentre grattate il gratta e vinci, e no amico, oggi non avresti vinto centomila euro, saresti stato schiacciato dal 25, che di solito passa alle 8.20 ma quel giorno era passato alle 8.22 e in quel momento esatto la tua monetina da due centesimi che usi per grattare ti sarebbe scivolata dalle dita, costringendoti a scendere dal marciapiede per riprenderla.
Il film continua, la bambina va in cerca di altri apostoli, che è gente normale, con una vita nemmeno normale, una vita abbastanza triste, che serve per dare carattere e ‘francesità’ a questo film belga, ma come finisce non lo so, perché dopo mezz’ora di visione interessata, ho dormito.
Inserito da Tandoori Mazzanti in-vece di Lavinia Ferrone
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