Giorno Zero
La conferenza stampa in Palazzo Tornabuoni: varcare l’ingresso come già in passato, ma stavolta è per così dire tutto diverso. Un tempo, mi ricordo, entravo tremolante a questi eventi, dubbioso che qualcuno mi fermasse e mi chiedesse: lei chi è? Se ne vada, lei è un mitomane. Ora invece entro in questi corridoi e cammino su questa moquette rossa come se fossi un profeta.
Eppure cos’è questa tristezza? Forse è la canzone del film Un amor, che ascolto in loop da giorni, con quelle parole tedesche incomprensibili, così tristi, o forse è altro ancora.
La Bocciofila entra, dopo dieci anni di onorato servizio, di porte sbattute in faccia, entra dall’ingresso principale, ma io mi sentirò comunque un impostore, malgrado le facce familiari che incontro nella saletta conferenze: bello ritrovarti qui, i giornalisti, gli uffici stampa, e io che mi siedo con un taccuino in ultima fila e scrivo queste cose.
Domani, giovedì, inizia il Festival. La Bocciofila, per la prima volta nella sua storia, è media partner di un Festival fiorentino e giuria del premio. Ce l’abbiamo fatta. Questo è quello che desideravamo dieci anni fa, questo è quello per cui abbiamo lottato. E allora che cos’è questa tristezza?
Aspettiamo l’inizio della conferenza stampa che inizia con ritardo clamoroso (voli deviati su Pisa, il traffico di un giorno di pioggia).
Tra venti minuti mi toglierò di dosso questa maschera da profeta e rientrerò al lavoro, al mio lavoro vero.
Giorno 1
La proiezione dei cortometraggi delle 15 ce l’eravamo persa un po’ tutti. A fine spettacolo la luce è rimasta spenta, una signora è uscita protestando, ma senza rabbia, più una specie di dolce rimprovero, il suo. Rimprovero rivolto a me e Giulia che di certo non c’entravamo niente. Poi Lorena, la direttrice, che aveva avuto un contrattempo, mi ha chiesto se potevamo presentare noi il primo film delle 16 e così ci siamo ritrovati a dare noi il via al Festival. Di fronte allo sguardo stupito di Giulia e della signora che era uscita per protestare ho detto che si sarebbe chiamato Entre Dos Cantones se fosse stato un festival preciso, e sarebbe stato dedicato al cinema svizzero. Ma questo è un festival sudamericano, quindi di cosa ci stupiamo?
Al momento di iniziare ci siamo alzati dalle poltroncine in prima fila e ci siamo autorizzati da soli, come gli psicoanalisti, e con i microfoni abbiamo parlato. Io ero nervoso, Giulia è stata bravissima, ma ci davamo forza a vicenda ed è durato poco, e dopo ci siamo seduti nelle poltrone in basso a sinistra, ovvero dove ai festival vedo sempre la gente dello staff sedersi e confabulare, e anche noi ci siamo messi là a confabulare come se fossimo dello staff, e in effetti lo eravamo.
In sala una cinquantina di persone, che per essere giovedì pomeriggio non era male.
Del primo giorno di Festival, delle tante ore passate che si allungano nel cinema, di tante persone, volti nella folla, sorrisi, sigarette fumate nella corte laterale, bicchieri di vino con la regista Carla Gutierrez, riflessioni filosofiche con il bodhisattva Renato e gli amici della Bocciofila, quello che più mi resterà addosso è la notizia, una buona notizia, che mi porterà un amico.
La notizia è che quella che sembrava una bruttissima malattia in verità non era nulla, un falso allarme, e l’amico sta bene. Perché se quell’amico sta male, quasi niente in quel giorno di Festival ha senso, così la notizia felice può sciogliersi in un lungo abbraccio e io torno a pensare ai film, agli ospiti da intervistare, e togliermi di dosso quel peso che da una settimana mi portavo sulle spalle come un macigno. E’ facile essere felici se il tuo amico sta bene.
Finisce il primo giorno di Festival, e fino a qui tutto bene, ma direi: più che bene. Che bello che Lorena, al discorso di apertura delle 20.30, dopo aver ringraziato il Comune, il Cinema e il console onorario del Perù, ringrazi la Bocciofila. E forse è una mia impressione, ma quando la direttrice pronuncia quel nome “In fuga dalla Bocciofila” il cinema ha avuto una specie di vibrazione, come se tutti trattenessero il fiato: sì, succede l’impossibile.
Giorno 2
Dopo solo un giorno tutta una serie di facce diventano familiari, le ragazze che fanno le maschere, i ragazzi della biglietteria, i fotografi e i volontari, e quasi mi verrebbe da scrivere qui tutti i nomi nuovi che ho imparato, e poi gli spettatori che ritornano e che in qualche modo sento vicini e quasi di volergli un po’ bene. I visi di chi organizza i Festival sono sempre stanchi, e anche io e Giulia, Rebe e Carlo mi sembriamo già stanchi, ma felici, o almeno un po’, perché questo non è un lavoro, o meglio lo è, ma è di un peso specifico diverso, un lavoro che frutterà dei soldi all’associazione, quindi per tutti noi.
I volti, quindi, e la loro specifica stanchezza è diversa da quella di una giornata di lavoro normale, ha qualcosa della novità, qualcosa di febbrile, e ancora: di bello.
Oggi alle 18 devo tenere una masterclass, o meglio non io, ma una produttrice messicana di nome Erendira, e io e Caterina Liverani le faremo delle domande sul suo lavoro. Un po’ di agitazione, ma provo a ricordare che la protagonista deve essere lei, e non io.
E quindi anche questo è passato. Durante la masterclass ho creduto per un minutino che avrei avuto sul palco un attacco di panico (davvero voglio fare la domanda su Michel Foucault? Davvero paragonare i suoi film a dei tatuaggi del corpo che si capiscono solo a posteriori?) ma poi di nuovo la calma di sfinge di Caterina mi ha fatto forza e ho messo su la mia faccia da pokerista e tutto è andato liscio. Anzi, più che liscio, è andata bene.
Poi fuori incontravo i compagni della Bocciofila e c’era da intervistare di nuovo Erendira che mi diceva: d’accordo, ma lasciami in pace dieci minuti. Ormai le interviste al nostro tavolino erano diventate una festa, una cosa semplice, e anche quell’ennesima intervista passava via. E poi le ore passavano, e ci preparavamo mentalmente alla festa sul tetto dell’albergo dove all’inizio non volevamo andare (troppo chic) ma poi decidevamo di andare (si beve gratis) e indossavamo delle giacche eleganti ed era notte e forse sarebbero arrivati anche Giova e Diana. E Carlos Pellegrinis? Perdido en la noche, o più probabilmente dentro il cinema a guardare Heroico. Questo era il secondo giorno, un altro giorno vissuto nel cinema, con un tempo tutto suo, un buco nero, un piccolo buco nero nelle nostre vite, fuori dal tempo e dallo spazio.
Giorno 3
Il terzo giorno dovevo lavorare in libreria e allora mentre andavo in motorino pensavo alla Bocciofila, a ripensavo a quella seduta dallo psicologo di alcuni giorni prima in cui in modo confuso gli dicevo che la Bocciofila era come uno specchio della società, ma anche come uno specchio dell’individuo. Dentro di me c’erano tutti gli elementi della Bocciofila, così come dentro a ognuno. Lo psicologo quel giorno mi guardava poco convinto e mi chiedeva cosa avesse attirato il mio sguardo su questa cosa chiamata Bocciofila tanto da dedicarmi a essa per dieci anni. Non sapevo, come sempre, cosa rispondergli, ma in motorino mi chiedevo come e perché fosse così complicato fare le cose insieme e come e perché avessimo avuto nei confronti di questo Festival atteggiamenti e attitudini così diverse. In motorino non sapevo cosa rispondere, forse semplicemente qualcuno aveva degli impegni improrogabili, come me quel giorno, o forse non avevano semplicemente voglia. Ma mi sembrava una soluzione troppo semplice. Pensavo che in ogni cosa, così nella Bocciofila, come nella società, come dentro di me, ci dovesse essere una negatività, un vuoto, un’assenza, che tuttavia era una negatività dialettica, per così dire, che univa, che rafforzava, che creava movimento, e non poteva essere altrimenti. Forse queste riflessioni erano ancora conseguenze dei postumi dei gin-tonic sulla terrazza, la sera prima, che aveva fatto seguito a un altro gin-tonic e a una cena barbaramente saltata o forse era conseguenza di quella conferenza di Galli sulle figure del negativo.
Da lavoro, leggevo i messaggi sulla chat, così come gli altri nei giorni precedenti, gli assenti, il negativo, messaggi di chi era là al Festival a fare interviste e vivere il Festival e mi chiedevo se quindi anche io quel terzo giorno ero una forza dialettica negativa, critica radicale di quel mondo e forza rinnovatrice, ma forse davvero stavo dicendo cazzate e non riuscivo a esprimere esattamente quello che provavo.
Lavoravo, tante persone passavano in libreria, e pensavo a come stessero andando le cose là al Festival, e che la Bocciofila avesse bisogno di ognuno dei suoi membri, ma allo stesso tempo non avesse bisogno di nessuno in particolare, non di me perché oggi non c’ero, e le cose andavano bene lo stesso.
Finivo di lavorare alle 8.30 e facevo delle corse in motorino per arrivare in tempo per la premiazione, neanche il tempo di salutare e saltare direttamente sul palco, leggere le bellissime e deliranti motivazioni dei premiati, e poi ci sarebbe stata la festa dal Cubano e tante persone, ma tutto questo avveniva al di là di me. Però di questa ultima affermazione ero allo stesso tempo convinto e non convinto.
Giorno 4
La domenica la Bocciofila era in un enorme e collettivo dopo sbronza, perché le cose al Cubano erano andate particolarmente bene, tante persone erano ko. Io in verità stavo bene, ero andato via a un’ora decente, e c’era da andare al film di chiusura all’Astra. Non pensavo più alle figure del negativo e in motorino arrivavo in Piazza Beccaria. Avevo la spazzatura da buttare e avvicinandomi ai cassonetti pestavo un’enorme merda liquida, come in quel film argentino, Puan. Si creava una circolarità. Ma a differenza del film mi pulivo nell’aiuola e riuscivo a presentarmi al cinema quantomeno decente. Era la fine di qualcosa, quella sera, e c’era tempo ancora di salutare Marcello, Daria e ringraziare Lorena e di dire una parola di fronte al pubblico dell’Astra, prima di uscire dalla sala. Con Carlo, Salva e Carlos, fumavamo l’ultima sigaretta davanti al cinema, poi ognuno sarebbe tornato alla sua vita. Ma c’era ancora un momento, ancora uno, per sottolineare quei giorni, in cui l’ordine, almeno per un po’, era stato sconvolto, in positivo aggiungevo mentalmente, e ci eravamo stretti e uniti e l’avevamo portata a casa, sì, è vero, era già passata, e dal giorno dopo ci sarebbero stati nuovi progetti, nuove ansie e nuove negatività, ma potevamo essere un po’ felici di quella cosa appena fatta? Sì, mi dicevo, potevamo esserlo. Era l’inizio di qualcosa? Forse no. Era la conclusione di qualcosa? Nemmeno. Non avevo una risposta, e nemmeno volevo averla. Tornavo in motorino, ascoltando ancora una volta quella solita canzone, come tantissime volte davvero, in quei giorni, poi da domani, avrei cambiato musica, saremmo andati avanti, ma era davvero poca cosa e secondario rispetto a quel momento là.
19-22 settembre 2024
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