Lineas entre dos Mundos
Se ne accorgerà che ho bevuto troppo ieri? Stamani alle cinque ho fatto una doccia, ho bevuto un uovo, i miei capelli profumano, alcol e fumo sono irrintracciabili. Mi guardo un’ultima volta allo specchio, sembro una che non ha dormito? Prego di no, mentre scendo, sorrido e salgo in macchina.
C’è un tizio con noi, un arrampicatore normale, fricchettone e entusiasta della giornata che ci aspetta. Mi rendo conto che non avevo considerato le curve e trattengo gli urti di vomito nel sedile posteriore mentre davanti si discute degli exit poll, dei gradi scalati a vista, delle vie aperte e di quelle che proveremo oggi. A me questa conversazione sembra inutile, questo sconosciuto con la barba incolta verrà coperto di insulti stasera stessa. Lei è minorenne, non può votare. Lei è minorenne, non può parlare. Sono minorenne e me la sto per fare addosso, ma non posso chiedergli di fermarsi. Le persone che, come me, hanno bisogno di svuotare troppe volte la vescica sono deboli. La vescica va allenata, bisogna saper resistere. Io non ho alcun senso del sacrificio, sono viziata e devo imparare a trattenerla. Vorrei dire qualcosa a questo tizio. Dirgli la verità, guarda che ha votato i fascisti, guarda che ti sta fregando, guarda che mi devi rapire. Ma non apro bocca, io non apro mai bocca. E nessuno mi rapisce mai. E così l’unica cosa che devo fare nel sedile posteriore è cercare di non vomitare e di non pisciarmi addosso. Succedono sempre tante cose, nel sedile posteriore.
Ho provato a rifilare il compito di fargli sicura al fricchettone, ma lui vuole me. Se la corda è lasca sto cercando di ammazzarlo, se invece ne do troppa poca lo sto tirando giù proprio quando ce l’avrebbe fatta. In entrambi i casi mi urla che sono una troia. C’è questo punto sul quale continua a cadere, c’è questo ostacolo da superare. Vedo che sta per volare e tiro forte: mi dai tutto tranne la corda. Questa frase risuona per tutta la falesia, forse per tutto il Trentino. Mi vergogno. Il fricchettone si gira, mi guarda, non dice niente. Gli sorrido e mi guardo i piedi. Forse non riesco più a vergognarmi. Non bisognerebbe guardarsi i piedi mentre si fa sicura a qualcuno, ma questo impasse dei piedi è irrisolvibile. Guardo i miei piedi martoriati, ha proprio ragione nel dire che sono orribili. Ma io non so come fare a renderli più belli. Devo fortificarli, devo farmi i calli, devo essere in grado di camminare scalza nel bosco e di infilarli di continuo in delle scarpette due numeri sotto al mio. Io non so proprio come risolverla questa cosa dei piedi, dei miei orrendi piedi, e mi viene da piangere. Sta urlando delle cose immonde, il tizio accanto a me ormai finge di non sentirle, fingono sempre tutti di non sentirle. Alzo lo sguardo, ce l’ha quasi fatta.
Da lassù si vede il lago di Garda, ci sono stata un po’ appesa, a guardarlo. Almeno, in altri posti, dalla falesia si vede il mare. A me piaceva il mare, prima di tutto questo, mi piaceva anche la montagna e mi piaceva fare il bagno mentre guardavo le montagne. Ma è il modo più sbagliato di vivere il mare e prendere la seggiovia è il modo più sbagliato di vivere la montagna. Adesso queste cose sbagliate non le faccio più e da lassù guardo laghi dove non si può nuotare, e da quaggiù guardo montagne dove non si può sciare. E non mi resta che ricominciare a salire, tacca dopo tacca, salgo e le urla sono sempre più lontane, sparisco sopra uno strapiombo, inizio a perdere la percezione del mio corpo, delle dita bucate, delle unghie sfaldate, delle braccia doloranti, dei piedi rattrappiti. Volo e ricomincio, volo di nuovo e ricomincio, e mi prendo solo un attimo, arrivata in catena, per far finta che in questo lago ci stia tutto il mare.
Sono stanca di fare sicura e sono stanca di essere assicurata. Forse un giorno tutto questo mi sembrerà lontanissimo, come il mare dalla catena in cima a una falesia. Un giorno fumerò sigarette in un bistrot parigino. Un giorno potrei diventare Presidente del Consiglio e darò finalmente l’indipendenza al Trentino. Ce ne libereremo, del Trentino, una volta per tutte. Un giorno potrebbero anche restaurare l’Urss e finirebbe sicuramente in un gulag. Ma se intanto, con uno di questi voli, si rompesse una gamba, io starei in pace qualche fine settimana. Sono ormai sorda mentre la corda mi scorre velocissima tra le mani, non sento che mi abrade, non sento le urla, non sento il suo peso scaricare sul gri gri, né l’imbrago che mi tira in avanti, non sento la vescica scoppiare, non sento alcun dolore, non sento ormai più niente mentre lo calo, piano piano, su questa terra.
Mi sveglio di soprassalto, è tardissimo, cazzo è tardissimo. Sono una cretina, non sarei dovuta uscire ieri, come faccio a spiegarglielo. Devo assolutamente muovermi, devo tagliarmi le unghie, fare lo zaino, fare colazione e fare quanta più pipì possibile. Penso che forse le sessantatré calorie contenute in una macina non sono poi molte, forse stamani potrei mangiarne una in più, forse una macina non mi impedirà di tirare sù il mio grosso culo per quella parete, forse non se ne accorgerà nessuno. Apro gli occhi, lentamente, e capisco. Scendo in cucina e mi siedo. Lo posso davvero bere questo caffè latte. Posso mangiare e fumare, posso leggere la Repubblica. Posso persino leggere Vanity Fair. Abbasso lo sguardo alla mia pedicure perfetta, è domenica e io non devo andare da nessuna parte. Non appena sento lo stimolo, vado in bagno e svuoto la vescica.
Questo racconto fa parte della rubrica Lineas Entre dos Mundos, percorso di avvicinamento all’edizione 2024 del festival Entre dos Mundos, dedicato al cinema iberoamericano, che si terrà a Firenze dal 19 al 21 settembre 2024.
Da giugno a settembre, ogni settimana, pubblicheremo un racconto ispirato a un film scritto, diretto, girato e prodotto in un paese dell’America Iberica.
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