Immagino che mettere al mondo un figlio sia piuttosto delicato; almeno questo è quello che immagino essendo io stesso un figlio.
Non parlo dell’atto in sé che può essere a sua volta delicato. Per un uomo ad esempio, è delicato, l’atto in sé; ma già tutto cambia per una donna: nei panni di una donna, l’atto in cui si mette al mondo un figlio è delicato? È quel momento che tendenzialmente – e prendete queste parole, tutte queste parole, con le molle – può essere considerato delicato, oppure quel momento che è generalmente considerato come il più doloroso possibile? Oppure tutto ciò che sta nel mezzo? Questo non posso veramente saperlo perché da parte mia sono nato con un cesareo.
Ma più dell’atto in sé, credo che sia delicato ciò che accade da dopo l’atto in sé fino alla fine, a quando un figlio non torna da dove è venuto, ovvero dal caos.
Tra questi due momenti, che non riusciamo a stabilire – esisteranno davvero? –, c’è quella che io chiamo vita e che voi potete chiamare in realtà come vi pare.
Quando avevo pochi anni, mia madre mi porgeva la mano ogni sera, prima che mi addormentassi, ed io la stringevo nella mia: la sua mano era morbida e calda, e lei cercava di rilassarla il più possibile; spesso, però, mia madre si addormentava prima di me e quella mano che mi lasciava stringere la potevo sentire mentre era percorsa da leggere scosse nervose.
Mi chiedevo, allora, se ero io ad addormentare lei, o lei ad addormentare me.
Senza che nessuno dei due ne fosse consapevole, le ero già sfuggito di mano.
In questa vita che le cose ci sfuggiranno di mano. È l’unica costante che ho riscontrato, fino a ora.
Un figlio sfuggirà di mano ai propri genitori; tutte le persone che conosco sono sfuggite dalle mani di altri; il mondo, be’, ahahah, questo è divertente, è sfuggito di mano a chi è a sua volta sfuggito di mano a qualcun altro.
È un discorso quasi noioso – ma mai davvero noioso – quello del battito delle ali di una farfalla, di una goccia nell’oceano, di un sasso lanciato nello stagno, che un granello di polvere spedito nel vuoto siderale arriverà ai confini del cosmo se nessuna forza lo ostacola, che un granello di polvere può bloccare il meccanismo di un orologio e fermare qualcosa di molto più grande, il tempo – questo l’ho inventato e infatti non regge, il tempo non lo si ferma, ma era un po’ per mostrare come il pensiero anch’esso sfugga facilmente di mano.
Allora abbiamo detto che un figlio sfuggirà di mano.
Ecco perché dico: è delicato; e lo è per tutti, lo è per chi mette al mondo e per chi nel mondo c’è già.
La domanda che mi pongo, alla fine, è: sono pronto ad assumermi la responsabilità che qualcosa di così immenso mi sfugga di mano? Sono pronto a non avere il controllo su un evento immenso? E la risposta che oggi mi do è che no, non sono pronto, ma spero che un giorno non tanto lontano possa esserlo.
Ma la vera domanda, quella che pongo a voi, è: quanti figli si sono fatti questa domanda prima di scoprire che non erano affatto pronti ad assumersi quella responsabilità; prima insomma di diventare, da figli, genitori?
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