Un treno attraversa la prateria. Grigia, brulla, indistinguibile dal cielo che la sovrasta. L’epica western non abita qui.
La radio annuncia tempo freddo e uggioso. Non c’è tepore nelle nostre vite, che si trascinano stanche tra una camera d’albergo e un diner di provincia. Abbiamo riposto i sogni, ordinatamente, in un altrove di cui non sta bene parlare.
Alzarsi al mattino per badare ai cavalli o passeggiare in silenzio lungo il fiume, il rumore degli stivali che affondano nella neve. I camion sulla vicina highway, gli uccelli nel cielo d’inverno la nostra colonna sonora.
Vite ai margini, eppure determinate a stabilire un contatto. Esistenze timide, nervose, disilluse eppure incapaci di rassegnazione. No, non cavalchiamo destrieri lucidi e poderosi, eppure c’è qualcosa di eroico nella nostra fermezza. Non ci arresta il dolce imbarazzo che leggi nei nostri occhi, non ci frenano i tradimenti, le incomprensioni, le giornate tutte troppo uguali.
Risolute, testarde, procediamo come stordite dai nostri sentimenti muti. Come i sentimenti dei nostri animali, i cani, i cavalli che affiorano nelle nostre vite; che forse non cercano un senso, eppure sono determinati a starci accanto. Oltre le geografie del cuore e della prateria, oltre le camicie sdrucite di flanella, oltre le parole che si strozzano in gola. Restiamo insieme, e forse è così che rimaniamo vivi.
Rispondi