Il trailer di Boulevard, “l’ultimo toccante film interpretato da Robin Williams”, come recita la didascalia, lascia intendere tutto il film e tutta la sua morale. La splendida favola americana del “u-turn” – in Italia diremmo inversione a u – secondo la quale nessuno è mai troppo alle strette da non poter dare una svolta alla propria vita. Non è mai troppo tardi. La forza c’è, basta trovarla e volerla trovare. Ora, guardando il volto super mega triste di Robin, l’attore che ho visceralmente adorato in Will Hunting e forse basta, o forse ci metto anche Jumanji (pura gioia) e Le avventure del barone di Munchausen (lo guardavo sempre da piccolo col mio migliore amico Dario) e Piume di struzzo (ma sì) e La leggenda del re pescatore (come ho fatto a dimenticarlo) e Harry a pezzi (ma solo perché è uno dei migliori Allen), e col cavolo che ci metto Hook o L’attimo fuggente o Insomnia – nel senso che negli altri film già si scorge il dramma profondo, l’incredibile malinconia così evidente, così malcelata dal suo essere un comico, quella che chiamerei sindrome da Patch Adams – il volto affilato e tozzo al tempo stesso, la bocca come risucchiata in mezzo alla faccia e gli occhi tirati nel lifting dei suoi sorrisi sforzati, un piccolo ematoma sotto l’occhio sinistro, le rughe da 60enne che nel film si scopre 60enne e vuole cambiare perché la sua vita ha preso una direzione inattesa e adesso si trova in un vicolo cieco – ora, guardando questo volto da ex tossico ed ex alcolizzato, questo volto da satiro sessuomane, segretamente gay, da uomo malato di cuore e operato a cuore aperto (la sua valvola mitrale fu sostituita da una di mucca), l’amico fraterno di Belushi che era presente quella volta lì, durante una delle loro serate-scorribande a base di cocaina whisky speedball in cui Belushi morì di overdose, l’amico di Christopher “Superman” Reeve prima e dopo l’incidente, lo stesso uomo – Robin McLaurin Williams nato a Chicago il 21 luglio del ’51 al St Luke’s Hospital in un giorno di pioggia battente da un dirigente della Ford e una modella di Jackson, Mississippi – lo stesso uomo che l’11 agosto 2014 si è suicidato nella sua casa di Paradise Cay asfissiandosi con una cintura dopo aver scoperto che la sua malattia degenerativa (la demenza da corpi di Lewy, qualcosa di molto simile al Parkinson) stava lapalissianamente facendo l’unica cosa possibile, cioè degenerare – ora, guardando tutto questo, in questa mattinata scintillante che c’è il sole e le piante sono in rigoglio, appena un attimo prima di uscire per andare a lavoro e qualche secondo dopo aver mangiato le mie barrette energetiche, penso a quello che volevo scrivere in questo articolo, alla morale che doveva avere, e non me lo ricordo.

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