Lineas Entre dos Mundos
Ero la più vecchia di tutti e avevo solo 40 anni che, sì, non sono pochi, ma neanche tantissimi. A Parigi la gente continuava a ripetermi “Hai ancora la vita davanti, non preoccuparti”, mentre qua tutti mi guardano come un residuato, al massimo una sopravvissuta. In queste case non ci sono adulti: sono tutti morti o in galera. Esmeralda dice che i più fortunati sono quelli morti. Ha 12 anni e se sto qua è perché lei ha deciso che valevo la pena, vai a sapere perché. La chiamano La reina e non ho ancora capito come si procuri i soldi con cui tiene a galla me, i suoi quattro fratelli – due più grandi, due più piccoli di lei – l’appartamento e quello a fianco dove i ragazzini vanno e vengono così velocemente che è difficile dire chi ci viva davvero. Io cucino e pulisco: la mattina mando Julio, il piccolino, a fare la spesa e lui ritorna trascinando una borsa con riso, fagioli, platano verde. Non chiedo niente e loro non mi chiedono niente. Cucino e riempio il piatto di chiunque si presenti. Se qualcuno non deve mangiare, La reina mi fa un cenno e io dico: «no chico, lo siento» e lui se ne va, senza protestare, guarda Esmeralda e esce con gli occhi bassi. Se borbotta troppo forte Juan, il fratello maggiore, si avvicina con i suoi due metri e 120 kg di sedicenne e quasi sempre finisce tutto lì. Poi lavo i piatti, pulisco la cucina e le camere: non butto nulla, ma cambio le lenzuola, impilo le lattine vuote vicino alla porta, sbatto i materassi in gommapiuma. Quando ho finito, La reina fa un giro e si viene a sedere accanto a me. Nel pomeriggio siamo solo io e lei e guardiamo qualche telenovela: Trópico, piena di ricchi dominicani, o Amor de conuco, dove una famigliola vive di quello che coltiva nel suo campo. Alla fine abbiamo entrambe gli occhi lucidi e lei mi abbraccia e io la lascio fare. Poi esce e rientra la mattina dopo all’alba. Non sono una prigioniera, se me ne andassi, non mi inseguirebbe nessuno, ma a Capotillo non sopravviverei una notte e fuori mi arresterebbero. Quindi cucino, lavo, guardo telenovelas e faccio finta di non capire.
La reina mi ha chiesto di apparecchiare la tavola: oggi mangiamo solo noi e mangiamo seduti. «Certo Esmeralda, lo que tu quieres». Non so se sia successo qualcosa di terribile o se stiamo festeggiando. Mi chiamano haitiana de lujo perchè sono arrivata con dei tacchi a spillo e un vestito lungo. Non ho nient’altro: quando la polizia mi ha fermato hanno preso tutto. Ma io sono francese, non haitiana. Apparecchio la tavola con quello che trovo: delle tovagliette americane, bicchieri spaiati. Mi hanno chiesto Sancocho e io ho preparato Sancocho per tutta la mattina. Julio è uscito prestissimo ed è tornato con mais, riso, pollo, carote, platano. Sorrideva, non sorride mai. Hanno chiuso la porta e ci siamo seduti: La reina a capotavola, io dal lato opposto. Ho riempito le nostre sei scodelle e Julio ha detto «Bon apeti» con un accento terribile. «Julio, come sei internazionale» hanno riso i 120 kg del fratello, mentre io gli ho accarezzato la testa e i suoi riccioli da bambino. Abbiamo mangiato mentre Esmeralda continuava a fissarmi: a volte mi spaventa. «Mamma Bantù» mi ha chiamato La reina «si vede che non sei domenicana, questo non è Sancocho». Tutti sono rimasti con il cucchiaio a mezz’aria «ma è molto meglio» e giù a ridere, sbattere sul tavolo, e io con il mio groppo in gola, ancora paralizzata che dico «grazie Esmeralda, grazie». Faccio un caffè che beviamo solo io e lei, ma nessuno si alza. Sparecchio e lavo i bicchieri, i piatti, la pentola: mi guardano e non si muovono. Inizio ad avere paura, ho sempre paura quando non so cosa succede. Spazzo la stanza, rallentando a ogni colpo, finché non mi resta nulla da fare e mi siedo di nuovo con loro che guardano Esmeralda e poi guardano me, e aspettano.
«Mamma Bantù» mi dice La reina «noi siamo una famiglia, lo vedi no?» e io dico si, certo che lo vedo.
«E nelle famiglie tutti danno una mano: Julio fa la spesa, Miguel tiene a bada gli stupidi» e io annuisco, sono d’accordo su tutto «e tu cosa fai, haitiana de lujo?» e io mi sento morire. Mi sembra di fare così tanto in questa casa: cucino, tengo in ordine. La casa prima che arrivassi era un disastro: dalle finestre neanche si riusciva a vedere fuori. «Esmeralda, che dici? Hai visto che bel pranzo abbiamo fatto tutti insieme? Era buono, no?»
«Era molto buono» tamburellò con le dita un ritmo di bachata sulla tavola «Quindi vuoi essere la nostra serva? È per questo che sei qua?»
Abbassai gli occhi e mi accorsi di quanto poco avevo pensato al futuro, da quando ero lì. Le giornate passavano tutte uguali: la prima settimana per farmi sparire i lividi, la seconda ad aspettare che il viso si sgonfiasse. Quante altre dopo?
«Perché, se vuoi rimanere, devi far parte della famiglia o finisce che qualcuno si fa male».
Pensai al lungosenna, all’Île Saint-Louis. Sembravano così lontane, molto più che dall’altra parte del mondo. Mi vedevo ridere con una birra in mano e un sacco di tempo davanti per decidere cosa avrei voluto diventare. Tutto era ancora possibile: avere dei figli o non averne, diventare un’avvocata di successo, smetterla con la cocaina, comprare una casa tutta mia.
«Hai ragione, Esmeralda» iniziai a piangere senza accorgermene e La reina si alzò di scatto e sparì in camera, gli altri uscirono subito dopo e solo Julio rimase, si avvicinò, mi prese una mano e strinse forte: «Dove vorresti andare, Mamma?» mi chiese e poi, dopo un po’, «cosa c’è fuori da qui?»
Per quanto mi sforzassi, non sapevo davvero cosa rispondere.
Questo racconto fa parte della rubrica Lineas Entre dos Mundos, percorso di avvicinamento all’edizione 2024 del festival Entre dos Mundos, dedicato al cinema iberoamericano, che si terrà a Firenze dal 19 al 21 settembre 2024.
Da giugno a settembre, ogni settimana, pubblicheremo un racconto ispirato a un film scritto, diretto, girato e prodotto in un paese dell’America Iberica.
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