Sono il nano più famoso del mondo e sto per spararmi. Mi troverà mia moglie che mi guarda il colmo della testa.
Per anni ho visitato il primo piano dei palazzi, l’unico tasto che il mio indice poteva sperare di premere.
Ho un cuore e un cazzo grandi normali, se ve lo state chiedendo. Anche i miei polmoni sono come i vostri, solo rinchiusi in una gabbia per canarini.
Dormo in ginocchio per non soffocare. Una vita di preghiera coatta e costante, ogni notte, a un dio dalle proporzioni esatte.
Sto bene coi bambini perché sono alto come loro. Penso di scoparmeli perché sono un maniaco sessuale.
Tutto – non solo i vizi – mi pesa e mi sovrasta.
Le mie dita sono corte e tozze. Non posso aprire le zip e questa è la scusa con cui attraevo in roulotte le co-star di Fantasy Island, la serie che mi ha visto protagonista e che mi ha reso famosissimo.
Ho sangue filippino, di un rosso scarlatto.
Quello dei numeri e delle quantità è un approccio possibile per capire la mia vita. Ma non vale forse per tutti?
Un metro e 17 centimetri di altezza.
3 milioni di dollari spesi in donne e alcool (nessuno saprà mai questo numero, lo porterò con me dritto nella minuscola bara che sto per abitare, pur pieno di rimpianti, ma senza un rimorso: io l’ho calcolato).
Numeri. Quando giravamo Agente 007 – L’uomo dalla pistola d’oro a Hong Kong io e Roger Moore andavamo a puttane e una notte mi sono acquattato tra le gambe della più cara per non farmi trovare.
Non ho mai conosciuto mio padre. Mio padre adottivo invece era chirurgo, mi ha chiuso sei mesi in una clinica perché voleva che crescessi come tutti gli altri. Mi hanno stirato e riempito di ormoni. Non ha funzionato.
Siamo a North Hollywood, è domenica 5 settembre, è il 1993.
Ho fame, a quest’ora di solito spilluzzico qualcosa.
Nel sogno provo a torcere il collo, guardo in alto e la vedo, la mia futura moglie, lunghissima e sottile, setole e piume di struzzo che serpeggia e mi si avvolge intorno fino a stritolarmi.
Se c’è una cosa che ho capito è che tutto è relativo e che anche una modella può essere terrificante.
Scrivo il mio biglietto di addio: “Vi amo tutti così tanto. E questo è il mio problema”.
Ho 50 anni, ancora una manciata di occhiate al cielo. Liscio la pistola come un gatto.
A Parigi non potevo camminare per strada perché mi prendevano a calci come fossi una busta di rognoni; sono scappato a New York, dormivo in macchina, ho fatto fortuna.
Dicono che il mio ego è smisurato. C’è allora qualcosa che non si può misurare?
Sono Hervé Jean-Pierre Villechaize, parigino, pittore per passione (dal participio passato di «patire»); sono Tattoo, Nick Nack, sono re Fausto della Sesta dimensione. Sono un difetto della tiroide, il nano armonico più famoso del mondo, e sto per spararmi.
Mi troverà Kathy Self, mia moglie, che mi guarda il colmo della testa.
Tornerò nel futuro, interpretato dal nano di Game of Thrones. Ma per ora, the show is over. Basta puttane, basta preghiere, basta cercare un senso a tutto questo.
A mia discolpa, posso dire che non ho creduto un solo giorno che lo avesse.
Mi sparo usando una Bic per premere il grilletto.
[zampilla sangue scarlatto]
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