Non c’è data precisa della sua venuta, né motivo chiaro. Una mattina l’insetto si è posato sul montante esterno della finestra e lì è rimasto, indifferente allo sguardo di chi, più inorridito che infastidito, lo osservava dall’altro lato del vetro.
All’inizio Alessandro interpretò quella presenza come un fatto irrilevante. Tuttavia, quando la mattina dopo, tirata su l’avvolgibile, lo ritrovò nello stesso punto, l’irrilevanza divenne curiosità e, nei giorni ancora a seguire, mutò in preoccupazione.
Con la progressione di una biglia che scorre su un piano inclinato, l’ossessione per quell’insetto lungo quanto una mano e grosso come due pollici, portò Alessandro a derubricare come superflua ogni necessità che non fosse quella di trovare un modo per liberarsene.
Un collega gli disse che quegli insetti, in diverse culture, sono simbolo di sventura, messaggeri di eventi nefasti, decise di contattare uno specialista. Quest’ultimo gli propose una boccetta di Rituale Anti Malocchio Nobile da 75 ml, a soli 130 euro. Ne prese due. E dopo averle vaporizzate in ogni angolo di casa, l’unico effetto che ne ricavò fu un’intensa emicrania che aggravò la sua già precaria salute fisica e mentale. Ora sentiva lo zillare dell’insetto provenire da dietro gli armadi, e con la coda dell’occhio gli pareva di vederlo spostarsi rapidamente da un angolo all’altro della casa.
Oppresso da inquietudine crescente, una notte, mentre si rigirava nel letto, un colpo di tosse secco gli scosse il petto. Poi un altro, più forte. Il respiro si fece corto e quasi soffocò, quando sentì qualcosa risalire lungo la trachea, facendosi strada a forza in quello spazio angusto. Sollevò il mento e contrasse i muscoli del collo per agevolare il reflusso dell’oggetto. Delle zampette sottili si fecero strada fuori dalla bocca, strappandosi da dentro con movimenti spasmodici e continui. Ora l’insetto, facendo leva sulle zampe già liberate e ancorate alle guance, allungò il corpo e premette contro le labbra serrate. Una testolina tonda, con due puntini neri inespressivi, sgusciò fuori, ricoperta da uno strato di densa bava bianca. Un conato costrinse Alessando a spalancare ancora di più la bocca, come se la cavità orale non potesse più contenere quella creatura, che con un colpo secco si liberò, aprì le ali e volò via.
Un secondo insetto intanto iniziò la risalita, contorcendosi nella bocca e spingendo con forza per uscire. Poi fu la volta di un terzo, e un quarto e un quinto. Ogni insetto spingeva con brutalità, strappandosi a forza dal corpo di Alessandro. Sentiva le zampe sottili e taglienti perforargli la gola e persino le mani, che cercavano di fermare l’inevitabile. Il suo stesso corpo si contorceva sotto la violenza di quel reflusso, mentre la stanza si riempiva del ronzio delle ali e la colonia infestava ogni angolo, divorando tutto ciò che riempiva lo spazio.
La mattina dopo la locusta era sempre lì, immobile. Le sue zampette aderivano al bordo della finestra come fosse l’unico posto al mondo dove potesse stare.
A strappare Alessandro da quel senso di attrazione e disgusto ci pensò il campanello. Era sua madre. Abitava al piano di sotto e dopo una settimana senza né vederlo né sentirlo, era preoccupata.
Entrando in casa percepì lo stato di abbandono e degrado in cui versava il figlio. Dopo un materno ma irreprensibile rimprovero, si precipitò ad aprire le finestre, una dopo l’altra, per mandare via quel tanfo di cibo precotto misto a bagno pubblico che impregnava l’ambiente. E quando spalancò anche quella finestra, come da copione di un film di serie B, l’insetto saltò dentro.
Alessandro scappò in bagno, fingendo un malore.
La madre invece osservò freddamente l’insetto svolazzare fino al ripiano della dispensa, quindi, sfilandosi la ciabatta con la delicatezza con cui un samurai sfodera la katana, lo colpì con un colpo secco e preciso. L’ortottero, tramortito, finì a terra, raccolto con la scopa e gettato accartocciato nel secchio dell’umido.
La mattina dopo, come tutte le mattine, Alessandro tirò su l’avvolgibile e guardò fuori dalla finestra: la locusta non c’era più. Un sollievo lo pervase. Controllò più volte, ma sì, era effettivamente sparita. Bastava così poco, in fondo, per liberarsene: aprire la finestra e dare una manata, oppure, alla vecchia, una ciabattata. Eppure, la paura che potesse saltare dentro, infilarsi in qualche anfratto e poi svolazzare fuori nel cuore della notte per coglierlo nel sonno, aveva suscitato in lui un terrore primordiale.
Gli venne da ridere, e da piangere e da ridere insieme. Poi si vestì e uscì per andare a lavoro, chiudendo la porta di casa con la fermezza di un uomo finalmente libero.
Epilogo:
Il rinculo della porta in chiusura provocò delle sottili vibrazioni che attraversarono le pareti della casa per poi riverberarsi sulla mobilia.
Le scosse raggiunsero anche il cestino dell’umido, che iniziò a oscillare con un movimento ondulatorio che si fece via via sempre più intenso, fino a che non si rovesciò, riversando il contenuto sul pavimento.
Tra gli avanzi di cibo, rotolò fuori l’insetto, accartocciato come uno scontrino vecchio.
I segmenti dell’esoscheletro iniziarono a scattare, animati da brevi scosse.
Le zampe anteriori si contorsero e raddrizzarono con un suono secco, di ossa rimesse in asse.
Le antenne e le ali si distesero in un fruscio intermittente.
Gli occhi si riempirono di una sostanza viscosa e ripresero a ruotare.
La locusta, ora ricomposta, si librò in aria col suo corposo ronzio, e dopo aver sbandato incerta a destra e sinistra, si rimise in asse, pronta a riprendere il suo posto nel mondo.
Rispondi