Fare il giurato al Korea Film Festival è sempre stato il mio sogno.
Non il mio unico sogno, ma uno dei miei sogni. Per questo quando a gennaio ho ricevuto la proposta di far parte della giuria (grazie Caterina) sono stato molto felice e ho accettato a scatola chiusa, senza sapere bene cosa avrei dovuto fare esattamente.
A poco a poco si è delineato il quadro dei miei doveri che erano in pratica tutte cose che amo:
- vedere un sacco di film, tipo due o tre di seguito che poi fai fatica a distinguerli e ti sembra di aver visto un unico film lunghissimo dalla trama dadaista;
- fare una valutazione dei film, mia, personale;
- partecipare alla serata inaugurale e alla cerimonia di chiusura del Festival, magari salendo sul palco, premiando i vincitori o fare un breve discorso imbarazzato.
- avere un badge con la mia foto e accanto scritto “giuria” da indossare con finta indolenza nel foyer del cinema.
Era tutto come avevo sempre sognato.
Poi però, come spesso accade nella vita, le cose sono andate diversamente.
Era il febbraio del 2020 e come ogni giorno ero nella biblioteca di Piazza Tasso a scroccare la connessione internet per guardare film coreani. Malgrado fossi concentrato al massimo per capire i sottotitoli in inglese, riuscivo ad accorgermi con la visione periferica che qualcosa intorno a me non andava. Sebbene il volume nelle cuffie fosse al massimo, là nella biblioteca popolare Thouar, gli studenti universitari e i senza casa non facevano altro che parlare a voce troppo alta di un nuovo argomento: il Corona Virus.
Ciò che poi è accaduto è storia nota. Si è fermato tutto, contro ogni logica, e quindi si è fermato anche il Festival. I mesi successivi sono stati stranissimi, i più strani della mia vita, ma sono passati, come sempre accade, ovvero un giorno dopo l’altro.
A luglio o forse ad agosto sono stato ricontattato da quelli del Korea che mi hanno spiegato che il festival ci sarebbe stato lo stesso, ma a fine settembre; e naturalmente senza ospiti stranieri, e con i posti numerati, e le mascherine e il gel per le mani.
La realizzazione di quel mio sogno ha quindi preso una forma del tutto diversa da come l’aspettavo. Ma qual’era la forma originaria? Grosso modo così: molte ore placidamente gettato su delle poltroncine, nell’oscurità del cinema. Discorsi con gli altri giurati, scegliendo parole desuete. Melange. (Che significa melange? Ho un vuoto mentale). Riferimenti a libri che avrei voluto, ma non avevo letto. “Del resto in Orientalismo, Said afferma…”. E poi discorsi in inglese con gli ospiti internazionali. Che tipo di discorsi immaginavo con gli ospiti? Discorsi che in fondo affermavano sempre la stessa cosa: che la provincia segna il passo. Che tutto è provincia. Che perfino a Seul o a New York le persone vivono nei quartieri, anzi no, vivono nell’isolato (the block).
E che quel singolo momento, in quella remota città italiana, era il Momento, per tutti noi, per tutti loro.
La mia partecipazione come giurato del Korea Film Festival è stata diversa da come me la immaginavo, per tanti motivi. Per il Covid, certamente, ma non solo per quello. Il mondo è cambiato da febbraio scorso, ma sono cambiato anche io. Ho meno tempo libero rispetto a quando passavo moltissime ore ai festival, grato a qualcuno dell’ufficio stampa per avermi passato un accredito Press.
Forse le cose vanno sempre diversamente da come noi ce le prefiguriamo. Forse esiste una legge non scritta per la quale se hai immaginato qualcosa in un certo modo, necessariamente poi andrà in un altro. Radicalizzando questo pensiero si potrebbe affermare che il Covid sia esistito come conseguenza della mia partecipazione al Korea Film Festival. Ma lasciamo perdere.
Sono semplicemente molto felice di aver fatto il giurato per il Korea, sebbene sia stato diverso da come l’avevo immaginato. Tuttavia ora che il festival è finito e sto qui sul divano a scrivere una nota veloce prima di entrare a lavoro, mi domando quale sia il mio sogno attuale, perché non lo so dire. Forse fare il giurato a Festival sempre più importanti? Non credo proprio. Ho un deficit immaginativo. Sono qui sul divano, davanti al computer, da fuori arrivano i suoni di una campana che segna le dodici e io non so cosa desiderare.
Firenze, 2 ottobre 2020
P.S.
Avrei voluto scrivere qualcosa di più sensato sul festival, ma è andata così, del resto questa è In fuga dalla Bocciofila. Volevo ringraziare ancora tutto lo staff del Korea Film Festival per avermi fatto felice (Caterina, Valentina), e anche i miei colleghi di giuria con cui è stato un vero piacere collaborare (se Michele stai leggendo qui, non te la prendere su quella storia di melange, stavo scherzando, sei stato un presidente di giuria eccellente).
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