Per un appassionato come me di programmi televisivi di bassa qualità sugli incidenti aerei, coadiuvati da strane teorie del complotto o illogici enigmi alieni, questo film poteva rappresentare un’ottima occasione per rabbrividire un po’ e così in un certo senso è stato.
Il film è una rivisitazione di una possibile commemorazione dei seguenti incidenti aerei: il volo Helios Airways 522 del 14 agosto 2005 o, più recentemente e quindi più facile da ricordare, l’incidente Aereo Malaysia Airlines MH370 volo CZ748 dell’8 marzo 2014. Se non sapete cosa sia successo in questi due voli, forse ancora non vi ho rovinato il finale. La cosa che mi affascinava di questa commemorazione in chiave horror era proprio la sfumatura paranormale o aliena dettata da quel sottotitolo italiano “non sono soli”, che ci depista volutamente, o in inglese “come die with me”, più aderente alle intenzioni del molto, molto creativo sceneggiatore Craig Rosenberg.
Il film parla di due cose: 1) la disperazione di Takashi Shimizu, il regista, dopo aver letto la sceneggiatura. I suoi occhi si sono alzati verso il cielo e con un lungo sospiro ha confermato al suo agente che sì, sì lo avrebbe girato questo belllliiiissssiiiimo film horror. Poi si è messo a cercare su internet bambole della morte giapponesi prodotte negli Stati Uniti che potessero essere riportate in Giappone e, non ci crederete, ma le ha trovate. Persone vicine al regista hanno negato che Takashi abbia tentato più volte il suicidio, ma abbiamo scoperto che l’Aiiku Hospital di Tokyo ha aperto un reparto psichiatrico che porta una targa onirifica… indovinate un po’? …proprio per Shimizu, in onore dei suoi continui tracolli e della sua depressione cronica.
La seconda cosa di cui parla il film è 2) la schematicità. La componente piacevolmente citazionista di aforismi tratti da Jim Morrison o Friedrich Nietzsche o da chi vi pare a voi su quanto la morte faccia parte della vita e quindi sulla necessità di non lasciasi sfuggire le occasioni che essa (la vita) ci dà, risulta così prevedibile, che Walter Benjamin potrebbe sostenere che questo film è rappresentativo di cosa sia il cinema proprio in virtù della sua prevedibilità. E lo schematismo narrativo è talmente schematico che gli attori onorano tale schema con una recitazione che definire schematica è ancor poco. Bisogna proprio dirlo: qui forma e contenuto coincidono.
Ci sono però alcune trovate da salvare, come la hostess asiatica che secondo me è molto carina anche se non recita mai nuda (questo aspetto ci fa apprezzare a pieno il setimento di pudore di Shimizu che preferisce non svendersi inserendo facili sequenze di sesso o donne nude che richiamerebbero l’attenzione) o l’immagine dell’acqua dentro ad un bicchiere che vola tutta verso l’alto sebbene il bicchiere rimanga perfettamente immobile mentre l’aereo ha quello che in gergo tecnico si definisce problemino di archimede, cioè quando magicamente la famosa spinta verso l’alto che permette ai velivoli di non precipitare non c’è magicamente più. Coma faccia quel bicchiere a restarsene fermo è un mistero della fisica, dirà Takashi Shimizu ai suoi pochi fan. Se qualcuno è capace di risolvere l’enigma faccia un fischio!
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