«Ho sentito che scrivi di cinema» dice mio padre sorseggiando con calma il suo caffè.
«Sì, beh… non esattamente di cinema. È un po’… complicato da spiegare».
«Certo. È sempre complicato, no?» ribatte sollevando gli occhi dalla tazzina.
Rimaniamo in silenzio, in un pomeriggio di inizio autunno, e sento il mio vecchio improvvisamente vicino.
Fin da quando ho memoria, ho sempre atteso la giovinezza come qualcosa che doveva arrivare. Una condizione del cuore, una certa rotondità dei muscoli, una risoluzione ad agire. Qualcosa di ideale che a un certo punto avrei afferrato. Scrivere era la voce di questa giovinezza, il suo canto creativo. E quando da ragazzino faticavo, con la penna in mano e il quaderno bianco di fronte, mi dicevo che si trattava solo di aspettare. Un giorno il corpo avrebbe iniziato a vibrare e risplendere, e i gorgoglii del me bambino si sarebbero tramutati in parole che scivolavano fluide, serene, come conoscessero da sempre la strada.
Poi sono diventato adulto e le parole non sono mai arrivate. Mi sono ritrovato a scorrere gli album dei ricordi, istantanee che raccontano di una giovinezza muta e ignara di sé. La frustrazione per un futuro che non era ancora si è sciolta in malinconia per un passato che non era più, e forse mai era stato. La giovinezza senza voce è divenuta maturità oscenamente consapevole. La scrittura, che doveva essere slancio creativo, si è rivelata autobiografia.
Sono un adulto che racconta storie su un stesso più giovane, curvo fin dall’inizio sotto il peso dell’ineluttabile, schiacciato da ciò che è destinato a diventare. Se il mio corpo e il mio animo, oggi, odorano di morte, questo fetore appesta i miei ricordi e le mie parole. Osservo il mio volto in foto vecchie di anni, e neppure lì scorgo più traccia di grazia. È qui, in questo solco scavato tra giovinezza e maturità, innocenza e consapevolezza, che le mie storie si incagliano e si tramutano in cicatrici della memoria.
Essere adulti è conoscere il proprio posto nel mondo, e dimenticare che ci sia qualcosa d’altro. Le cose sono così come sono: scrivere e uccidere sono nient’altro che una nuova giornata di lavoro.
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