Non ne posso più. C’è una terribile maledizione su di me che si manifesta di quando in quando, beh, per essere precisi quando mi prendo una cotta per una ragazza. Che disgrazia. Se si manifestasse a caso, secondo una totale mancanza di logica, allora io forse sarei in grado di vederne anche il lato comico, di farci una risata su, perché potrei addirittura vederlo come un lancio di dadi, un rimettere al caso il mio destino, potrebbe, pensandoci bene, essere una liberazione, un simpatico modo per porsi fuori dagli schemi del mio comportamento usuale, ma non è così invece, è solo un’inutile tortura, perché c’è una logica precisa, perversa, inamovibile alla manifestazione di questa mia orribile sfortuna, dato che solo quando perdo la testa per una ragazza, solo allora, solo dopo l’innamoramento quella maledizione si manifesta in tutta la sua crudeltà. Il malocchio, ecco cos’è, il malocchio mi è stato lanciato da una vecchia cenciosa che ho incontrato una sera in un postribolo. Lei stava là in un angolo e mi sorrideva. Carino, mi disse la schifosa, sei proprio un caramellino, accoppiati con me. Le sue verruche, le rughe, quelle parrucche che indossava me la rendevano insopportabile, oleosa da quanto puzzava, così le risposi con tono distaccato, canzonatorio, vagamente arrogante, povero me, che non ci sarebbe stato alcun miscuglio tra me e lei e lei si alzò in piedi e bisbigliò Teletubbies semper eris, quoties delectaris in voluptate amoris, si leccò l’indice e mi graffiò l’anulare della mano sinistra, il dito direttamente connesso al cuore, con la sua unghia piena di saliva, quell’unghia nera per lo sporco, lunga, piegata dal tempo. Da quel giorno quando vedo una donna e mi innamoro, ecco che io subisco questa orribile condanna che ora vi racconterò.
Mi viene da piangere per la vergogna. Ma come si fa a vivere così. La scorsa sera incontro questa donna focosa, con occhi liquefatti e lunghi capelli mori, mossi tali e quali a un olocausto. Mi avvicino a lei osservando le sue forme sotto le vesti e le attacco un bottone su quella sua camicetta color sangue come l’aria che le usciva dalla bocca. Le chiedo: ma non lo vedi come ti dona questo vestito? Ma non lo vedi che è il pendant dei tuoi sospiri? Le strappo un sorriso. Ma non le vedi che tutto il mondo è irrilevante? Che tutto il mondo non esiste più, se ci sei proprio tu? Continuo a dire sciocchezze e vedo le sue piccole, dolci fossette intorno alle labbra mentre esprimono un senso di tenerezza, i suoi occhi curiosi e freddi che si schiudono per la dolcezza delle cose sceme che stavo dicendo per farla ridere di cuore, mentre sorseggiava dal suo bicchiere quel caldo, caldo liquore che dà alla testa.
Poi all’improvviso lei mi ha guardato dritto dritto negli occhi con una convinzione piena di amore e io mi sono perso nei suoi oftalmi ninfei, perché ho scoperto istantaneamente che era la mia anima gemella. Anzi sembrava proprio che dentro di lei ci fosse una specie di brace cerebrale in fiamme, così che grazie al suo sguardo mi sembrava di saltare da un inverno polare, quale io sono, a una calda primavera, salto che ovviamente mi fece subito innamorare.
Ed è in quel momento, sempre in quel momento che inizio a sentire un forte dolore. È fisico e profondo. Si muove giù, vicino alle ossa. È un dolore pieno di gioia, ma anche di vergogna. No, non voglio, vi prego, non voglio. Mi prende un crampo allo stomaco che si estende su tutto il corpo. La testa, mi sembra si spacchi in due e la pelle, che brividi dolorosi su tutta la pelle, la schiena e le mani, dio mio che dolore insopportabile, un dolore gioioso, che orribile paradosso, e sento che mi devo accartocciare, così mi chino stringendo gli occhi, accecato, e vedo che le dita delle mie mani si stanno fondendo tra loro, una peluria inizia a sbucar fuori da tutto il mio corpo. La pena, la vergogna, il dolore così radicale. Vorrei strapparmi quei peli ma le dita ormai sono solo una specie di paletta pelosa incapace di afferrare qualsiasi cosa. E poi arriva la fitta sul ventre così potente che mi toglie il respiro, mi viene da vomitare. Mi guardo la pancia e sta venendo fuori una roba di vetro bianca, e i piedi, pure loro diventano senza forma e poi la testa, sempre più dolorosa, la sento che si spacca, le placche craniche si muovono tutte schiacciando il mio cervello, lo sento spappolarsi, offuscarsi, perdere le sue funzioni principali, per far uscire fuori una cosa triangolare e viola, che a tratti si illumina e vibra facendomi ridere contro, dio mio contro il mio volere. E ormai viola è tutto il mio corpo deforme, orribile, peloso, amorfo, pacioccoso. E mi vien da piangere quando quel vetro sul mio ventre si accende per far vedere filmati di campi di fiori dove bambini e bambine cantano e giocano a nascondino, rotolandosi tra le foglie d’erba profumata, ridendo, rincorrendo le loro più tenere, morbide, oscene emozioni, sono i miei più intimi umori, i miei più segreti sentimenti che non vorrei mai far vedere alla donna che amo, ma quella è lì di fronte a me, bellissima, i suoi occhi bellissimi, che mi chiede se va tutto bene. No, non va tutto bene, ma non sono più in grado di pensarlo, figuriamoci di dirlo e così guardo verso il cielo e vedo, non ci posso credere, vedo un neonato dentro al sole.
Il mondo fuori di me è tutto così colorato, acceso, che mi ferisce gli occhi, lacerandoli, mi stanno uscendo fuori come palle velenose dal volto bianco che mi ritrovo e ho paura ad aprire la bocca per risponderle, ho paura a sentire il suono della mia voce, ma ormai non ho più alcuna volontà. La vedo trattenere un sorriso. Ciao ciao, le dico, dio mio, le dico ciao ciao. E mi viene da ridere ihihihihih e poi urletti di gioia mi escono dalla bocca e dico evviva evviva evviva, eheheheheeh, bubusettete, ciao ciao, olà, ohohohoh, ehehehehehe, ahahahahahah, din dun, evviva evviva evviva, Tinky-Winky, ciao ciao, ahahahahahaha, Dipsy, evviva evviva evviva, ihihihihhihih, olà, Laa-Laa, du du du, ehehehehehee, din dun, Po, evviva evviva evviva, ciao ciao. E mi getto per terra, sul pavimento di quel bar pieno di gocce di birra versate sbadatamente e poi calpestate, mi butto lì ridendo, pensando che sia un prato, evviva evviva evviva, e allargo le braccia e le gambe come un angelo nella neve e le chiudo, bubusettete, e le apro, ridendo come un angelo nella neve, ihihihihhihih. Oh maledetta vecchia strega, la tua maledizione mi ucciderà.

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