In vita mia ho sempre viaggiato in nave, e sono giunto alla conclusione che sia un luogo privilegiato per riflettere sul suicidio. Specialmente se viaggi con un posto in passaggio ponte. D’inverno. D’estate c’è troppa spensieratezza in mano a turisti scalpitanti. Aspettano il traghetto giù al molo, bianchi in viso, incolonnati in auto, camper e moto con gli ammortizzatori compressi. Indossano infradito o scarpe da tennis. Una volta a bordo occupano ristoranti, bar, sale d’attesa, scale, corridoi. Gonfiano materassini, srotolano teli mare, inforcano i cappucci delle felpe e legano zaini e valigie e cani tra loro. Poi cominciano a mangiare, a fare avanti e indietro tra il bar e il bagno. Stanno sui ponti a fumare, a fotografare, a osservare la partenza, a salutare, a telefonare, a bere birre. No. Troppo chiasso.
Nerve | Blue Whale
Gli storici cercarono di ricostruire il punto di non ritorno analizzando giornali cartacei e riviste on-line e fonti di origini dubbie, tra cui: cartoline, lettere d’amore, canzoni, poesie, liste della spesa, appunti, riassunti, cartine delle caramelle, mappe del tesoro, buste di vaniglia, oggetti desueti, cose dimenticate, graffi su mobili, sigarette spente, fiori secchi, voccali, consonanti, sogni, iperurani, lacrime, falsi suicidi per applausi, cibi nella corte dei centri commerciali, bingo, gringo, jingle.